“Cammina come un Walser” si diceva un tempo, per qualificare il passo lungo e cadenzato tipico di questo popolo di camminatori che, valicando passi e attraversando ghiacciai, è giunto sino alle pendici del Monte Rosa.
I Walser (contrazione del tedesco Walliser, cioè vallesano, abitante del canton Vallese) sono una popolazione di origine germanica che abita le regioni alpine attorno al massiccio del Monte Rosa. Si dice che il Monte Rosa sia la montagna dei Walser, anticamente insediatisi appunto per la maggior parte attorno a essa.
E’ molto importante conoscere la loro storia, che risale ai tempi dei tempi, per capire in quali condizioni siano dovuti emigrare e quali difficoltà abbiano dovuto superare per stabilirsi in un luogo e vivere o sopravvivere ad alta quota, con scarsità di terre disponibili, rarità dei pascoli e condizioni climatiche estreme. E quanto c’è da imparare, oggi, dalla loro storia.
foto di lampidicielo.wordpress.com
I Walser appartengono al ceppo degli Alemanni, e sono giunti attorno all’VIII secolo nell’alto Vallese; durante il XII–XIII secolo, coloni Walser provenienti dall’alto Vallese si stabilirono in diverse località dell’arco alpino in Italia, Svizzera, Liechtenstein e Austria e Francia e Italia.
Con l’arrivo dei Walser, la cui colonizzazione, di carattere pacifico, contribuì ad aprire nuove vie di comunicazione nel territorio alpino, ebbe inizio una nuova fase della storia delle Alpi.
L’emigrazione del XIII secolo avvenne probabilmente per una serie di cause concomitanti:
- La sovrappopolazione delle terre dell’Alto Vallese, che spinse i coloni Walser alla ricerca di nuovi pascoli per il loro bestiame e di terre incolte da sfruttare.
- Le condizioni climatiche particolarmente favorevoli (periodo medioevale caldo), che resero possibile la sopravvivenza anche a quote elevate: i ghiacciai si erano ritirati e molti valichi alpini erano percorribili per gran parte dell’anno.
- Gli incentivi offerti ai coloni Walser da parte dei signori territoriali e alcune grandi istituzioni monastiche delle terre da colonizzare, che favorirono la creazione di nuovi insediamenti con la promessa di libertà personali e di un favorevole trattamento fiscale.
Nei secoli successivi il clima cambiò radicalmente: alla fase di optimum climatico medievale fece seguito la cosiddetta Piccola era glaciale. I ghiacci tornarono ad avere la meglio e a coprire per molti mesi l’anno i valichi alpini. Diminuirono gli scambi tra le valli, si ridussero i pascoli d’alta quota a disposizione, calarono sensibilmente le rese agricole. Le singole comunità restarono isolate e le popolazioni walser furono costrette in molti casi ad abbandonare le tradizionali attività legate all’agricoltura e all’allevamento del bestiame, spingendo molti uomini ad emigrare in cerca di lavoro.
Il popolo Walser era un popolo molto religioso, tanto che spesso sfociava nella superstizione e che portava a mettere il demonio dietro a qualunque cosa di brutto capitasse. In una parete delle proprie abitazioni esisteva sempre una piccola finestra che veniva aperta solo quando c’era un morto in casa, per permettere all’anima di uscire, e subito dopo richiusa affinché l’anima fosse impossibilitata a rientrarvi.

Autentico cuore del villaggio Walser, il cui nucleo più antico veniva chiamato “Dorf”, inserito armoniosamente nell’ambiente, era la chiesa, dove si svolgeva la celebrazione delle tappe più importanti della vita: nascita, matrimonio e morte, che vedevano la partecipazione di tutta la comunità.
“chiesa vecchia del 1300 situata nella località Dorf, dove ancora vivono le tradizioni Walser.”

Ogni villaggio era autosufficiente e indipendente e si dedicava all’allevamento del bestiame, alla lavorazione del latte, al taglio del fieno e all’irrigazione dei prati, vi erano molti campi coltivati a cereali, frumento, segale e orzo (fino a 1.800 metri) e ogni famiglia aveva il suo orto. Da notare che non vi erano alberi da frutto. Ogni agglomerato di case possedeva un forno, un mulino per macinare i cereali e una segheria. Dove non avevano prodotti della terra praticavano il baratto ed ecco che a Macugnaga troviamo ancora, nella casa Walser, la padella per arrostire le castagne, che lì non c’erano.
A Macugnaga ci sono ancora delle case in stile walser, bellissime e curate, la base in sasso e il resto in legno. . La costruzione tipica è lo stadel, baita sostenuta da 8 o 10 pilastri a “fungo” in legno e pietra, sia per tenere lontano animali che umidità.


che belli i paioli appesi ai balconi…


La cosa incredibile è la “Panificazione” che per la comunità Walser era un momento importante della vita comunitaria. Lo facevano una volta all’anno, sì, una sola volta, in autunno e veniva cotto nel forno, dopo che una famiglia ( a turno) aveva concesso la propria stube per far lievitare l’impasto, preparato dalle donne del villaggio. I pani lievitati e tagliati in pagnotte venivano posti sulle assi e portati al forno dagli uomini.
Il forno con il tetto in beola, davanti si vedono dei ripiani dove appoggiavano il pane da cuocere.




Le classiche pagnotte, una volta cotte, sarebbero state riposte su delle rastrelliere e conservate in solaio,durante l’anno venivano tagliate con un apposito attrezzo e messe a bagno o nel latte o nell’acqua per ricavarne delle zuppe.
Il compito dei bambini era quallo di andare giornalmente in solaio a girare il pane, per far sì che seccassero senza ammuffire, naturalmente dovevano fischiettare per evitare di mangiare il pane….
Anche qui in Emilia quando si preparano i tortellini si dice ai bambini che girano attorno al tavolo cercando di prenderne uno, fischia, fischia…
Della prima infornata un pane veniva donato al prete, uno ai padroni dello stube, uno ai più poveri del paese o “anticipato” a chi aveva già finito le scorte con l’impegno a restituirlo appena lo avessero cotto a loro volta. Era un momento di festa, di ritrovo, di amicizia e talvolta anche amore.
Anche il matrimonio era un momento in cui tutta la comunità partecipava, questi sono abiti festivi

Ancora oggi usa sbarrare la strada al corteo nunziale con uno steccato abbellito da foulard e nastri che avevano lo scopo di rendere difficoltoso allo sposo “portarsi via” la sposa. Infatti era compito dello sposo sciogliere gli sbarramenti. E i bambini del paese si mettono in mezzo alla strada, gli sposi devono mettere dei confetti nei cestini che hanno in mano. Dopo il matrimonio, il corteo nunziale si spostava nei vari bar per le “bicchierate”, pagate dal collettore che aveva allestito una cassa con il contributo di tutti gli uomini presenti.
E il battesimo? A pochi giorni dalla nascita, il neonato veniva portato al fonte battesimale in una curiosa culla di legno intarsiato, di proprietà dei vari ceppi familiari e che si tramandava di generazione in generazione.
La culla era portata da una donna della famiglia su una gerla ed era coperta da un fazzoletto di damasco celeste o rosa. Per allontanare gli spiriti malvagi dai neonati vi era l’usanza di porre un coltello sotto il pagliericcio della culla. E tutt’oggi si svolge ancora così.
.
La madrina sfoggiava il costume tradizionale; il padrino indossava un abito di panno scuro.
Dopo il battesimo, risuonavano alcuni rintocchi di campana per annunciare a tutto il paese che un nuovo membro era entrato a far parte della comunità religiosa.
Anche il funerale era un momento comunitario, tutti partecipavano e i parenti del defunto andavano a comperare dei sacchi di sale che mettevano in un cassone di legno, e lo distribuivano all’uscita della chiesa dopo la funzione,
usando una scodella di legno come dosatore. Di fianco al cassone stavano due donne, anch’esse parenti del
defunto, e avevano il compito di dare a tutti i parenti, oltre al sale dato con il dosatore anche una manciata di sale in più.
Anche le tombe sono in stile Walser…..

I discendenti dei Walser hanno saputo dar vita ad iniziative volte alla rivitalizzazione della cultura tradizionale e al rinnovo degli antichi vincoli di amicizia, senza alcuna rivendicazione di carattere politico. A tal fine da oltre mezzo secolo ha luogo ogni tre anni il “Walsertreffen”, un grande raduno internazionale, organizzato dalla “Internationale Vereinigung für Walsertum”, associazione internazionale delle comunità Walser, nata per proteggere l’antico patrimonio culturale. Per tutti i Walser, che fin dalla prima edizione vi hanno sempre partecipato con grande entusiasmo, rappresenta un’importante occasione per far conoscere la loro civiltà.

La cosa importante è stato scoprire come i Walser avessero un senso molto profondo della comunità. Ogni famiglia, sulla base delle sue possibilità, contribuiva ai lavori d’interesse pubblico e tutti mettevano le proprie capacità al servizio degli altri, consapevoli di appartenere ad una collettività, al cui interno era necessaria una stretta collaborazione tra i suoi componenti, pur nella diversità dei ruoli. Riesce forse difficile per noi oggi, immersi in una società estremamente individualista, riuscire a comprendere tale attitudine, ma nel contesto di una realtà, scandita da rinunce e sacrifici, in cui occorreva adeguare la propria vita alle esigenze della famiglia e della comunità, ciò rappresentava un’abitudine consolidata.
La prossima volta racconterò la visita che abbiamo fatto al Museo Casa Walser di Borca, Macugnaga, dove abbiamo scoperto delle cose molto interessanti che meritano anche una riflessione.
