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Anche il compleanno a spasso…

Il giorno dopo la festa della mamma è stato il mio compleanno, e allora avendo io deciso di non fare niente, anzi “gnente” (rafforzativo) siamo andati a spasso e siamo arrivati a Castrocaro Terme – Terra del Sole in provincia di Forlì.

Ci tenevo a vedere Terra del Sole, che nel 1500 era una enclave del Granducato di Toscana nello Stato Pontificio. E’ un piccolo borgo circondato da possenti mura,

con dei piccoli quartieri e una bella piazza d’Armi. Solo che ora è quasi inglobato in Castrocaro Terme e l’hanno tagliato in due da una strada che lo attraversa da porta a porta. Orribile. Non essendo molto grande avrebbero potuto circondarlo con una strada esterna e lasciare intatto il fascino di questo pezzo di storia.

La località apparteneva fino al 1923 alla Toscana. Terra del Sole fu voluta da Cosimo I de’ Medici, primo Granduca di Toscana (1519-1574), fu lo stesso Granduca, recatosi in questi estremi confini del suo Stato, a “designare” il luogo della nuova città fortezza e ad assegnarle il nome.

La decisione di costruire ex novo una città fortificata nell’enclave romagnola rientrava in una precisa politica di difesa dei confini del Granducato di Toscana.

antica pianta della Terra del Sole –

Terra del Sole diventerà sede di mercato per esercitare una vera e propria forma di controllo sulla copiosa produzione agricola del territorio romagnolo. Oltre all’approvvigionamento di grano il mercato di Terra del Sole avrebbe garantito anche quello del sale che proveniva dalla vicina Cervia.

Il Granduca, sempre preoccupato per l’incombente spettro della carestia, per ovviare alle carenze di grano della Toscana, ne avrebbe fatto incetta nella fertile Romagna: l’alimento che in tempo di carestia era un vero e proprio bene prezioso, avrebbe trovato custodia più sicura  all’interno delle mura di un deposito fortificato quale la città di Terra del Sole, trasformata all’occorrenza in un enorme granaio dello Stato mediceo.

Quando la città fu inaugurata (1564),  si manifestò un avvenimento meteorologico particolare: dopo giorni di nebbia fittissima, mentre si celebrava la messa il cielo si aprì ed il sole illuminò il luogo , per richiudersi a cerimonia conclusa. Questo episodio fu interpretato come segno di augurio e contribuì ad avvolgere la nascita di Terra del Sole in un’aura di leggenda ed a rafforzare l’identificazione tra la figura di Cosimo I de’ Medici e la simbologia del sole.

Dopo aver capito la storia di questo posto, lo abbiamo girato lungo tutto il suo perimetro, da una porta e la sua piccola fortezza,(del Capitano delle Artiglierie) all’altra con un’altra piccola fortezza ( del Governatore) lì a guardia degli ingressi del borgo, il primo è privato.

Affascinante pensare come poteva essere nel 15oo, cosa poteva essere il mercato o l’adunata degli armigeri nella Piazza d’Armi……ora invece proprio davanti al bellissimo Palazzo Pretorio, dove passa la famigerata strada, quasi sui suoi gradini, sfrecciano le auto, le moto ecc. snaturando così il fascino del luogo.

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Prospiciente alla Piazza d’Armi, la chiesa di Santa Reparata, iniziata nel 1594 e terminata nel 1609: impianto monumentale rinascimentale classico a croce latina contenente pregevoli pitture.

Si sa che in Romagna si mangia bene ed allora siamo andati a pranzo in un locale caratteristico, ai piedi della fortezza di Castrocaro. Interessante anche questa, costruita nel XVI secolo. Ma questo farà parte della prossima gita.

Siamo andati all’Osteria “Postierla”, Caratteristico, grezzo, antico, tutto scavato nella roccia (arenaria). Il locale è stato ricavato dalle già sottostanti cantine dell’ex Monastero Benedettino del 1200; una stupenda acquasantiera è esposta nel locale. Sul pavimento una grande botola di solido vetro trasparente mostra i meandri sottostanti (forse le segrete…) in realtà erano le cantine dell’ex-Monastero. Il nome “Postierla” sarebbe la denominazione della porta per accedere alla cantina dei Frati! molto originale.

Anche qui troverete la recensione nella pagina “Ristoranti sì e no”.

Dopo aver mangiato molto bene, siamo tornati a fare un giretto a Terra del Sole, sempre più convinta che in Italia abbiamo tanti tesori sconosciuti e soprattutto non custoditi come meritano.

 

Celebrazione del 450° Anniversario della Fondazione di Terra del Sole

(foto Città d’arte Emilia Romagna)

così dovrebbe restare la piazza della fortezza, come quando celebrano l’anniversario della fondazione di Terra del Sole.

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Abbazia di Monteveglio

 

 

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(foto http://latagliolina.it)

Domenica siamo andati a Monteveglio (Bo) e a  pochi passi dalla città, un piccolo parco tutto da scoprire…Morbidi rilievi punteggiati di vigneti e ceraseti, aspri calanchi, boschi e sorgenti. E sulla cima del colle, il castello e la millenaria abbazia… Costruita sulla vallata del Samoggia, l’abbazia di Monteveglio venne eretta per celebrare la vittoria di Matilde di Canossa su Enrico IV. L’imperatore infatti venne sconfitto nell’assedio della rocca matildinica Monteveglio avvenuto nel 1092. La storia è quasi leggenda, infatti Enrico IV venne vinto da un pugno di uomini che non solo riuscirono a resistere per mesi, ma persino il figlio dell’imperatore perse la vita nello scontro finale.  Come atto di ringraziamento, la grande contessa fece edificare l’abbazia di Monteveglio.

Si accede al borgo attraverso una porta merlata, unico residuo delle fortificazioni del castello, dagli spalti del quale si gode di uno splendido panorama della zona circostante.

(foto http://enteparchi.bo.it)

La chiesa attuale è di epoca preromanica e romanica, la bella facciata è caratterizzata da una luminosa bifora, rifatta all’inizio del XIII secolo, e da allora mai modificata. L’altare si trova in una zona sopraelevata della chiesa. Esso è caratterizzato da un crocifisso di grande precisione anatomica, che alcuni attribuiscono alla scuola leonardesca;

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Il Cristo in aria

il Cristo in aria

inoltre, le volte recano semplici ma efficaci decorazioni floreali duecentesche.

La parte più suggestiva della chiesa è la cripta, ubicata al di sotto del livello del terreno.  Al suo interno si trova un’acquasantiera longobarda, uno dei pochi reperti di quel periodo visibili nella provincia di Bologna. Anche uno dei capitelli, che riproduce le forme tipiche dell’oreficeria longobarda, viene attribuito a questo periodo. Le monofore (un tipo di finestra sormontata da un arco con una sola apertura, solitamente stretta) delle absidiole sono in alabastro e non sono mai state sostituite fin dall’epoca di costruzione della chiesa, fatto questo assolutamente eccezionale.

Dopo esserci rinfrancati lo spirito abbiamo cercato una trattoria dove pranzare. E nel borgo c’è “La trattoria del borgo”

 

 

 

 

 

E’ una piccola trattoria a conduzione famigliare  caratterizzata da un ambiente caldo ed informale. Propone piatti legati alla tradizione bolognese e modenese (visto che siamo a Monteveglio terra di confine tra le due province emiliane). Purtroppo era tutto prenotato, ma il gestore ci ha dato altri indirizzi. Non sempre si trovano persone gentili che danno la possibilità di pranzare in altri ristoranti e di questo lo ringraziamo. Sicuramente ci torneremo, prenotando prima certo.

Quindi siamo andati alla “Trattoria del borlengo” a Mercatello, paesino nei pressi di Castello di Serravalle nel Comune di Valsamoggia in provincia di Bologna.

E qui abbiamo mangiato finalmente i famosi borlenghi, una specialità. Ma di questo parlerò nella mia recensione “Ristoranti sì e no”. Anticipo che è stata una buonissima scoperta.

 

Puglia, ultimo atto

E così siamo arrivati alla fine del nostro viaggio nel nord della Puglia, bellissima terra, persone gentilissime, ottima eno-gastronomia e il desiderio di ritornare è molto forte.

Ci siamo fermati a NOCI, paesino la  cui caratteristica sono “Le gnostre” (da claustrum etimo di chiostro) che sono dei piccoli spazi che si aprono nelle viuzze del centro antico, un tempo vere e proprie strade poi richiuse per far posto alla costruzione di nuove abitazioni in seguito all’incremento demografico registrato durante il XVIII secolo. Buon ristorante “L’Antica locanda”.

Da lì siamo passati da ALBEROBELLO,

di cui tralascio il racconto, perchè è un paesone molto turistico e conosciutissimo, parlerò in un altro articolo solo del ristorante “Evo” uno dei migliori dove siamo stati.

Tralascio anche il racconto delle GROTTE DI CASTELLANA, solo perchè molto conosciute anche loro, però con passaggi molto stretti per cui dopo mezzo percorso io ed un’altra signora abbiamo dovuto uscire, accompagnati da una gentile guida, perchè eravamo senza fiato, poco ossigeno e troppa anidride carbonica. Comunque per me sono molto più belle ed interessanti le Grotte di Frasassi.

L’ingresso naturale alle grotte è un’enorme voragine profonda 60 mt. denominata “Le Grave”. Unica foto del mio percorso….

Da lì siamo arrivati ad OSTUNI, dove mi fermo, perchè ne vale la pena.

Detta anche Città Bianca, per via della caratteristica  peculiare del centro storico, che era l’imbiancatura a calce delle case fino ai tetti. L’uso, attestato sin dal Medioevo, deriva, oltre che dalla facile reperibilità della calce come materia prima, dalla necessità di assicurare alle viuzze e agli ambienti ristretti di impianto medievale una maggiore luminosità, data dalla luce sia diretta che riflessa. Questo costume ha rivestito anche un ruolo importante storicamente nel XVII secolo quando l’imbiancatura a calce fu l’unico modo per evitare che la peste dilagasse nella cittadina ed il contagio aumentasse sino a portarne la distruzione.

Dopo aver pranzato in piazza, all’ombra della Guglia di Sant’Oronzo, alta m 20.75, dall’esuberante decorazione barocca e dopo aver visto che per girare il centro storico (in salita)  occorrevano buone gambe, fiato e…….voglia, abbiamo optato per… l’Ape car,

che ci ha permesso di visitare tutti gli angoli di questa città.

 

Ma una delle cose straordinarie di questa città è stato il ritrovamento di uno scheletro di donna gravida, in una grotta  di Santa Maria di Agnano, un luogo di straordinaria ricchezza archeologica a pochi chilometri da Ostuni.

Delia (nome datole dal professor Coppola) aveva una ventina d’ anni, era alta, slanciata e nell’ aspetto identica alle sue attuali discendenti. Apparteneva a un clan di cacciatori e come loro aveva gambe lunghe e robuste per inseguire i cavalli che pascolavano bradi nella prateria. Morì nel tentativo di dare alla luce un figlio. Il corpo gravido venne trasportato nell’ ampia caverna che durante la brutta stagione offriva riparo ai cacciatori. La mano destra, adorna di un bracciale, le venne adagiata sul grembo, come a simulare un gesto di materna dolcezza. Dopo la scoperta il blocco di pietra contenente lo scheletro fu trasportato nel Museo di Ostuni e lì venne separato dal resto della pietra. Una volta individuato lo scheletro raggomitolato di Delia, all’ altezza del bacino, comincia a prendere forma anche il feto, di cui si riconoscono tutte le ossa tenere del cranio, la mandibola, le braccine ripiegate, la minuta gabbia toracica. “Sebbene le sepolture paleolitiche siano piuttosto rare in Italia, l’ enorme valore scientifico del ritrovamento è essenzialmente dovuto alla presenza del feto: finora unico al mondo per il periodo Pleistocenico”,spiega il paleoetnologo Donato Coppola, autore del ritrovamento. Il reperto ha 24.410 anni. Con misure antropometriche del feto,  si è potuto stabilire che, quando morì, la donna era incinta di oltre otto mesi.

( da: archivio/repubblica/1992/10/29/delia-donna-infelice-di-24-mila-anni.)

La donna presenta anche un braccialetto di conchiglie forate e un copricapo  costituito da circa seicento conchiglie  impastate con ocra rossa (materiale a quei tempi prezioso e difficile da trovare). Il che fa suppore una cura particolare nella sepoltura. Nel museo è stata riprodotta così come è stato ritrovato lo scheletro e deve essere emozionante vedere un reperto così antico e misterioso.

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Non abbiamo potuto andare a visitarla perchè il museo era chiuso, allora è un buon motivo per ritornare.

Poi abbiamo visto da lontano LOCOROTONDO, altra cittadina interessante da visitare.

Ci siamo trasferiti poi verso il mare, sulla strada del ritorno a casa. Prima ci siamo fermati a MONOPOLI, che rappresenta, sull’Adriatico uno dei porti più attivi e popolosi della regione. Il suo caratteristico centro storico di origine alto-medievale, sovrapposto ai resti di un abitato messapico fortificato già nel V secolo a.C., si affaccia sul mare circondato da alte mura.

Notevole anche la Concattedrale della Madonna della Madia,

 

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In una cappella della chiesa ci sono le travi di una zattera sulla quale, secondo la tradizione, l’icona della Madonna arrivò nel 1117 nel porto di Monopoli.

Proseguendo siamo arrivati a TRANI,  conosciuta anche come “la perla dell’Adriatico“, è famosa per la Cattedrale romanica che si affaccia direttamente sul mare,ed è inserita nella lista delle “meraviglie italiane“, oltre che per la produzione di un particolare tipo di marmo (la pietra di Trani) e di vinoMoscato.

Il castello svevo è stato edificato nel 1233 sotto il regno di Federico II. Nel castello soggiornò spesso il figlio di Federico, Manfredi.

Il porto

Cattedrale –

Classico esempio diarchitettura romanica pugliese la Cattedrale venne costruita durante la dominazione  normanna, iniziata nel 1099 e ultimata nel 1143 ed è dedicata a San Nicola Pellegrino. La costruzione è stata realizzata usando il materiale di tufo calcareo tipico della zona: si tratta della pietra di Trani estratta dalle cave della città, caratterizzata da un colore roseo chiarissimo, quasi bianco.

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Dopo aver pranzato nel ristorante “L’altro molo” sul quale stendo un velo pietoso e non ve lo consiglio, siamo ripartiti verso casa, un po’ cupi come il cielo, ma felici di aver trascorso una settimana alla scoperta di posti meravigliosi, ricchi di storia, alcuni addirittura poco conosciuti,

In un autogrill dell’autostrada c’è un cartello che dice: “Siete in un paese meraviglioso”, cerchiamo di far sì che continui ad essere vero.

 

 

                                               

 

Puglia / Basilicata -Matera

Stiamo ancora viaggiando per la Puglia, ma  siamo passati in Basilicata per arrivare a Matera, città tanto decantata da tutti, assolutamente da visitare per vedere anche i famosi Sassi, ma soprattutto per capire cosa essi realmente siano e cosa abbiano voluto dire nella vita della città.

Nota con gli appellativi di “Città dei Sassi” e “Città Sotterranea”, è  una delle città ancora abitate più antiche al mondo. I Sassi sono stati riconosciuti il 9 dicembre 1993, Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, primo sito dell’Italia meridionale a ricevere tale riconoscimento.

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Il torrente Gravina di Matera,  scorre nella profonda fossa naturale che delimita i due antichi rioni della città: Sasso Barisano e Sasso Caveoso. Sull’altra sponda c’è il  Parco della Murgia Materana. Gli antichi rioni chiamati “Sassi“, assieme con le cisterne ed i sistemi di raccolta delle acque, sono la caratteristica peculiare di Matera. Si tratta di originali ed antichi aggregati di case scavate nella calcarenite.

Le origini di Matera sono molto remote e ne è testimonianza il ritrovamento nel territorio circostante di alcuni insediamenti senza soluzione di continuità sin dall’età paleolitica. ( Paleolitico fu il primo periodo della preistoria in cui si sviluppò la tecnologia umana, con l’introduzione dei primi strumenti di pietra da parte di diverse specie di ominidi, circa 2,5 milioni di anni fa). A partire dall’VIII secolo, il territorio materano fu teatro di una notevole immigrazione di monaci benedettini e bizantini, che si stabilirono lungo le grotte della Gravina trasformandole in chiese rupestri.

Matera è tra le città decorate della medaglia d’argento al valor militare per la guerra di liberazione e il Ministro della Difesa decorando con la medaglia il gonfalone della città ,scoprì una lapide con la seguente iscrizione:

« Matera prima città del Mezzogiorno insorta in armi contro il nazifascismo addita l’epico sacrificio del 21 settembre 1943 alle generazioni presenti e future perché ricordino e sappiano con pari dignità e fermezza difendere la libertà e la dignità della coscienza contro tutte le prevaricazioni e le offese. »

Penso che su questa frase ci sia da meditare ancora oggi.

La cattedrale,  della Madonna della Bruna e di Sant’Eustachio in stile romanico pugliese, fu costruita nel XIII secolo sullo sperone più alto della Civita che divide i due Sassi,  il punto più alto e visibile della città ove sorse il primo nucleo abitato dei Sassi, sull’area di un monastero benedettino. Si scoprì all’inzio del ’900  che fu costruita su un terrapieno artificiale per innalzare ulteriormente la sua posizione ( rimane visibile da tutti i punti della antica città e dalle campagne circostanti). Durante i  lavori furono scavate delle profonde trincee che rivelarono in 12 metri, man mano che si scendeva in profondità,  tutti gli antichi strati abitativi della città: abitazioni medioevali, una chiesetta paleocristiana ed abitazioni della stessa epoca, reperti  bizantini come monete e resti archietettonici , un altro piano di abitazioni romane, sepolcri  greci con importanti vasi facenti parte del tipico corredo funerario e infine resti di ceramica ingubbiata (ceramica con rivestimento invetriato dipinto con decorazione graffita) caratteristica della prima età del ferro. Una “radiografia”, insomma, della vita antica di Matera.

 

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A differenza dell’interno che nel tempo ha subìto diverse trasformazioni, l’esterno conserva quasi intatta la sua forma originaria, mentre l’interno è di fattura barocca. Ha pregevoli opere d’arte, tra cui un presepio di Altobello Persio, scultore attivo in Basilicata per tutto il Cinquecento, in pietra policroma.

E’ radicata nei materani la convinzione che il nome della Madonna Bruna provenga dal colore bruno della sua immagine  presente nel Duomo. Il restauro però ha smentito tale tesi, infatti il colore è piuttosto chiaro e l’opacità era dovuta al fumo delle candele accese nella Chiesa Madre dai credenti nei secoli. Il nome fu quindi probabilmente istituito da Urbano VI nel momento stesso in cui propose l’istituzione di questa festa (1389).

Ogni anno gli artigiani del posto costruiscono un grande carro trionfale, tutto in cartapesta, sul quale, il 2 luglio, viene portata in processione la Madonna.

 

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prima di rientrare in cattedrale il carro viene assaltato dai presenti e distrutto, in modo che, chi riesce, si porta a casa un pezzo del carro benedetto, quale buon augurio per l’anno. Ed ogni anno viene ricostruito un altro carro.

Ma la cosa più interessante di Matera sono senza dubbio i “Sassi”, spettacolo incredibile e inimmaginabile se non si vedono dal vero. Ma su questo farò un articolo a parte, tante sono le cose da dire.

A Matera siamo stati in un graziosissimo Residence – “Frammenti”, troverete l’articolo apposito.

Ci siamo fermati due giorni, perchè Matera non è “toccata e fuga”, bisogna visitarla, ascoltare la sua storia, cercare di immagazzinare più immagini possibili e pensare…qui ritornerò.

La prima sera siamo andati in un ristorante  – “La grotta nei sassi” –  che si trova in pieno centro storico di Matera  ed è collocato all’interno di grotte scavate dall’uomo. Vicino c’è  una bellissima Terrazza Panoramica che si affaccia sul meraviglioso scenario del Sasso Barisano . Avete presente un presepio? Ecco alla sera i Sassi danno questa impressione.

ingresso alla Matera sotterranea

«Matera Sum Ipogeo»,  si tratta «di un percorso sotterraneo rinvenuto dopo circa un anno di scavi, a cui è stato dato il nome di ‘Matera Sum’. E’ una straordinaria testimonianza, ‘una città sotto la città’, case, strade, cisterne, ambienti produttivi e luoghi di culto della città medievale. Questi elementi rendono unico il sito».

Spesso sotto le strade del centro storico si nascondono ambienti scavati che furono chiusi quando la città si sviluppò. Una delle tante dimostrazioni è venuta alla luce negli anni Novanta con i lavori di sistemazione della Piazza Vittorio Veneto. Sotto l’intera piazza si nasconde quella che era l’organizzazione principale di Matera: Il Fondaco di Mezzo (cioè l’antico mercato della città), il Palombaro Lungo (cioè una grossa cisterna per la raccolta dell’acqua) e la cripta dello Santo Spirito.

(io non ho un cappello piumato in testa…è il fotografo che non sta attento…)

Il giorno dopo siamo andati, su consiglio, ottimo consiglio, della guida che ci ha portato a visitare i Sassi, al Ristorante “La Latteria”, storico locale dedicato ai prodotti caseari e all’enogastronomia lucana. Io che amo i formaggi, figurarsi se non ci andavo.

E al pomeriggio? Stanchi della lunga visita del mattino ai Sassi, a piedi e sotto il sole, abbiamo parcheggiato i nostri mariti in piazza al bar e Lorenza ed io siamo andate in giro per shopping. Girovagando per la città moderna con uno sguardo, comunque, ai Sassi, ci siamo riposate così, per arrivare alla sera a cena, naturalmente.

Siamo andati al ristorante “Il Terrazzino” che è il luogo ideale dove poter apprezzare i sapori tradizionali della cucina materana e, nel contempo, lo straordinario spettacolo dei Sassi di Matera, grazie all’ampia terrazza panoramica e agli interni molto caratteristici.

Non dimentichiamo il pane di Matera, che si distingue dal pane di Altamura per la forma diversa. Quello di Altamura è fatto con un riporto

quello di Matera a forma di croissant

Il Pane di Matera: Simbolo di una città

comunque buoni entrambi, ne abbiamo portato a casa, dopo una settimana sprigionavano ancora il profumo.

Farò le recensioni dei ristoranti nei vari articoli e nella pagina “ristoranti sì e no”.

Il prossimo articolo sarà tutto per i “Sassi”, saranno le mie impressioni e le mie emozioni nel vedere dal vivo una testimonianza così antica di abitazioni, con tutta la loro storia.

 

 

 

 

 

 

Puglia – Altamura

Continuando il nostro viaggio in Puglia, da Castel del Monte siamo arrivati ad Altamura, passando per Gravina in Puglia.

GRAVINA:

Il toponimo “Gravina” proviene dalle gravine: spaccature della crosta terrestre simili a canyon. Sul motto riportato sul gonfalone cittadino vi è scritto “Grana dat et vina” (trad. “offre grano e vino”), attribuito alla città da Federico II di Svevia, il quale amava questa città tanto da definirla “giardino di delizie”. Egli, infatti, fece realizzare un castello, che aveva la funzione di ospitare lui ed i suoi uomini, prima e dopo le battute di caccia svolte nel territorio murgiano.

Parte della città si estende sulle sponde di un crepaccio profondo, molto simile ai canyon, scavato nella roccia calcarea dal  torrente Gravina,da cui prendono il nome le famose gravine della Murgia.

Come si vede i pini al centro della foto sono sui versanti ripidi della gravina.

Splendida è la cattedrale, che fu costruita nel 1092  in stile romanico a tre navate. Questa chiesa andò distrutta tra il 1447 ed il 1456, dapprima a causa di un incendio e poi per il terremoto che sconvolse l’intera regione. Si attese trent’anni per la sua ricostruzione, tra il XVII ed il XVIII secolo ha subito all’interno vari interventi barocchi. Oggi la chiesa si presenta come una sintesi di diversi stili architettonici: il tardoromanico, il rinascimentale ed il barocco.

 

ALTAMURA

Qui vi è prodotto il pane , tipico nella sua forma (in gergo sckuanéte, trad. alto). Ha come un riporto in alto che lo differenzia dal Pane di Matera, altrettanto famoso. Nel luglio 2003, al pane di Altamura è stato riconosciuto il marchio denominazione di origine protetta (DOP). È ottenuto dall’impiego di semole (molto ricca di glutine) rimacinate di varietà di grano duro coltivato nei territori dei comuni della Murgia.

Il monumento principale di Altamura è la cattedrale di Santa Maria Assunta, esempio di Romanico pugliese, stile gotico (secolo XIII); da aggiungersi l’Uomo di Altamura, scheletro integro di Homo neanderthalensis, e cava dei dinosauri, giacimento risalente al Cretacico con impronte di dinosauri.

Andiamo con ordine:

La città di Altamura fu ripopolata dall’imperatore Federico II nella prima metà del XIII secolo. In questo stesso periodo, tra il 1232 ed il 1254, fu eretta, per volere dello stesso imperatore, la cattedrale dedicata all’Assunta, primo e più antico monumento cittadino, con la facciata rivolta originariamente verso la città di Gravina. E’  una delle più belle e maestose cattedrali pugliesi.

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particolare del presepe in pietra.

 

CAVA DEI DINOSAURI

Nel 1999 sono state rinvenute in una cava abbandonata, 30.000 orme di dinosauri, su un’area di 12.000 m.q. La grande importanza del  ritrovamento (è il sito più ricco e importante d’Europa e forse del mondo) sta nell’elevatissima biodiversità che caratterizza i dinosauri contemporaneamente presenti nello stesso luogo.

Le dimensioni delle impronte variano dai 5/6 cm fino ai 40/45 cm, facendo supporre di dinosauri alti fino a 10 mt. Le impronte risalgono tra i 70/80 milioni di anni fa, quando il clima in Puglia era tropicale.

Ben felice di andare a vedere i nostri antenati mi informo e qui scopro che non solo la cava è totalmente abbandonata, recintata ma con le reti divelte,  lasciata a se stessa,  in modo che le persone possano entrare e calpestare o cercare di rimuovere quello che dovrebbe essere un patrimonio dell’umanità.

E’ abbandonata dal giorno della sua scoperta, per niente valorizzata, a causa di un lunghissimo contenzioso tra i proprietari della cava e la pubblica amministrazione.

 Un posto del genere avrebbe tutti i requisiti per diventare un parco visitato da decine di migliaia di persone, diventando un luogo di cultura e conoscenza e al tempo stesso portando ricchezza al territorio. Diciotto anni di abbandono hanno invece per sempre deteriorato le impronte.

Allora abbiamo deciso di non andare a vedere questo scempio di un patrimonio che il mondo ci invidierebbe.

foto dal web

   

Cerco di consolarmi e andiamo a vedere un’altra scoperta importantissima :

l’Uomo di Altamura,

scheletro integro di Homo neanderthalensis – perfettamente ricostruito ed esposto in un museo. E’ stato scoperto il 3/10/1993 nella grotta di Lamalunga ed è datato tra i 128.000 e i 187.000 anni fa.

La grotta ha un ingresso, praticamente un pozzo detritico con vari cunicoli, spesso questi pozzi carsici si trasformavano in trappole naturali per animali ed uomini. Questo sembra essere accaduto anche in questo caso a giudicare dai resti degli animali sparsi sul fondo della grotta e dallo scheletro dell’Uomo di Altamura che sembra essersi trascinato con il radio e una scapola fratturata fino al fondo di uno stretto cunicolo, forse alla ricerca di una via di uscita.

E’ una perfetta ricostruzione di come doveva essere “Luciano”, lo abbiamo chiamato così per caso….. con quegli occhietti che ti osservano tra le ciglia e il sorriso enigmatico.

…Ieri e oggi….

Sempre nel museo c’era una mostra sul “Pane”con antichi reperti e siamo andati a curiosare.

Alcuni modi per mangiare il pane di Altamura.

dopo di che siamo finiti, come al solito, con le gambe sotto ad un tavolo per gustare ancora dei piatti tipici.

Dopo, il resoconto del pranzo in una carinissima trattoria gestito da una signora estremamente cordiale.

Trattoria “I tre archi”. Altamura.

 

 

I Walser

Comune di Issime   “Cammina come un Walser” si diceva un tempo, per qualificare il passo lungo e cadenzato tipico di questo popolo di camminatori che, valicando passi e attraversando ghiacciai, è giunto sino alle pendici del Monte Rosa.

I Walser (contrazione del tedesco Walliser, cioè vallesano, abitante del canton Vallese) sono una popolazione di origine germanica che abita le regioni alpine attorno al massiccio del Monte Rosa.  Si dice che il Monte Rosa sia la montagna dei Walser, anticamente insediatisi appunto per la maggior parte attorno a essa.

E’ molto importante conoscere la loro storia, che risale ai tempi dei tempi, per capire in quali condizioni siano dovuti emigrare e quali difficoltà abbiano dovuto superare per stabilirsi in un luogo e vivere o sopravvivere ad alta quota, con scarsità di terre disponibili, rarità dei pascoli e condizioni climatiche estreme.  E quanto c’è da imparare, oggi, dalla loro storia.

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I Walser appartengono al ceppo degli Alemanni, e sono giunti attorno all’VIII secolo nell’alto Vallese; durante il XIIXIII secolo, coloni Walser provenienti dall’alto Vallese si stabilirono in diverse località dell’arco alpino in Italia, Svizzera, Liechtenstein e Austria e Francia e Italia.

Con l’arrivo dei Walser, la cui colonizzazione, di carattere pacifico, contribuì ad aprire nuove vie di comunicazione nel territorio alpino, ebbe inizio una nuova fase della storia delle Alpi.

L’emigrazione del XIII secolo avvenne probabilmente per una serie di cause concomitanti:

  • La sovrappopolazione delle terre dell’Alto Vallese, che spinse i coloni Walser alla ricerca di nuovi pascoli per il loro bestiame e di terre incolte da sfruttare.
  • Le condizioni climatiche particolarmente favorevoli (periodo medioevale caldo), che resero possibile la sopravvivenza anche a quote elevate: i ghiacciai si erano ritirati e molti valichi alpini erano percorribili per gran parte dell’anno.
  • Gli incentivi offerti ai coloni Walser da parte dei signori territoriali e alcune grandi istituzioni monastiche delle terre da colonizzare, che favorirono la creazione di nuovi insediamenti con la promessa di libertà personali e di un favorevole trattamento fiscale.

Nei secoli successivi il clima cambiò radicalmente: alla fase di optimum climatico medievale fece seguito la cosiddetta Piccola era glaciale. I ghiacci tornarono ad avere la meglio e a coprire per molti mesi l’anno i valichi alpini. Diminuirono gli scambi tra le valli, si ridussero i pascoli d’alta quota a disposizione, calarono sensibilmente le rese agricole. Le singole comunità restarono isolate e le popolazioni walser furono costrette in molti casi ad abbandonare le tradizionali attività legate all’agricoltura e all’allevamento del bestiame, spingendo molti uomini ad emigrare in cerca di lavoro.

Il popolo Walser era un popolo molto religioso, tanto che spesso sfociava nella superstizione e che portava a mettere il demonio dietro a qualunque cosa di brutto capitasse. In una parete delle proprie abitazioni esisteva sempre una piccola finestra che veniva aperta solo quando c’era un morto in casa, per permettere all’anima di uscire, e subito dopo richiusa affinché l’anima fosse impossibilitata a rientrarvi.

Autentico cuore del villaggio Walser, il cui nucleo più antico veniva chiamato “Dorf”, inserito armoniosamente nell’ambiente, era la chiesa, dove si svolgeva la celebrazione delle tappe più importanti della vita: nascita, matrimonio e morte, che vedevano la partecipazione di tutta la comunità.

“chiesa vecchia del 1300 situata nella località Dorf, dove ancora vivono le tradizioni Walser.”

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Ogni villaggio era autosufficiente e indipendente e si dedicava all’allevamento del bestiame, alla lavorazione del latte, al taglio del fieno e all’irrigazione dei prati, vi erano molti campi coltivati a cereali, frumento, segale e orzo (fino a 1.800 metri) e ogni famiglia aveva il suo orto. Da notare che non vi erano alberi da frutto. Ogni agglomerato di case possedeva un forno, un mulino per macinare i cereali e una segheria. Dove non avevano prodotti della terra praticavano il baratto ed ecco che a Macugnaga troviamo ancora, nella casa Walser, la padella per arrostire le castagne, che lì non c’erano.

A Macugnaga ci sono ancora delle case in stile walser, bellissime e curate, la base in sasso e il resto in legno. . La costruzione tipica è lo stadel, baita sostenuta da 8 o 10 pilastri a “fungo” in legno e pietra, sia per tenere lontano animali che umidità.

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che belli i paioli appesi ai balconi…

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La cosa incredibile è la “Panificazione” che per la comunità Walser era un momento importante della vita comunitaria. Lo facevano una volta all’anno, sì, una sola volta, in autunno e veniva cotto nel forno, dopo che una famiglia ( a turno) aveva concesso la propria stube per far lievitare l’impasto, preparato dalle donne del villaggio. I pani lievitati e tagliati in pagnotte venivano posti sulle assi e portati al forno dagli uomini.

Il forno con il tetto in beola, davanti si vedono dei ripiani dove appoggiavano il pane da cuocere.

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Le classiche pagnotte, una volta cotte, sarebbero state riposte su delle rastrelliere e conservate in solaio,durante l’anno venivano tagliate con un apposito attrezzo e messe a bagno o nel latte o nell’acqua per ricavarne delle zuppe.

Risultati immagini per rastrelliera per pane walser Il compito dei bambini era quallo di andare giornalmente in solaio a girare il pane, per far sì che seccassero senza ammuffire, naturalmente dovevano fischiettare per evitare di mangiare il pane….

Anche qui in Emilia quando si preparano i tortellini si dice ai bambini che girano attorno al tavolo cercando di prenderne uno, fischia, fischia…

Della prima infornata un pane veniva donato al prete, uno ai padroni dello stube, uno ai più poveri del paese o “anticipato” a chi aveva già finito le scorte con l’impegno a restituirlo appena lo avessero cotto a loro volta. Era un momento di festa, di ritrovo, di amicizia e talvolta anche amore.

Anche il matrimonio era un momento in cui tutta la comunità partecipava, questi sono abiti festivi

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Ancora oggi usa sbarrare la strada al corteo nunziale con uno steccato abbellito da foulard e nastri che avevano lo scopo di rendere difficoltoso allo sposo “portarsi via” la sposa. Infatti era compito dello sposo sciogliere gli sbarramenti. E i bambini del paese si mettono in mezzo alla strada, gli sposi devono mettere dei confetti nei cestini che hanno in mano. Dopo il matrimonio, il corteo nunziale si spostava nei vari bar per le “bicchierate”, pagate dal collettore che aveva allestito una cassa con il contributo di tutti gli uomini presenti.

E il battesimo? A pochi giorni dalla nascita, il neonato veniva portato al fonte battesimale in una curiosa culla di legno intarsiato, di proprietà dei vari ceppi familiari e che si tramandava di generazione in generazione.
La culla era portata da una donna della famiglia su una gerla ed era coperta da un fazzoletto di damasco celeste o rosa. Per allontanare gli spiriti malvagi dai neonati vi era l’usanza di porre un coltello sotto il pagliericcio della culla. E tutt’oggi si svolge ancora così.

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La madrina sfoggiava il costume tradizionale; il padrino indossava un abito di panno scuro.
Dopo il battesimo, risuonavano alcuni rintocchi di campana per annunciare a tutto il paese che un nuovo membro era entrato a far parte della comunità religiosa.

Anche il funerale era un momento comunitario, tutti partecipavano e i  parenti del defunto andavano a comperare dei sacchi di sale che mettevano in un cassone di legno, e lo distribuivano all’uscita della chiesa dopo la funzione,
usando una scodella di legno come dosatore. Di fianco al cassone stavano due donne, anch’esse parenti del
defunto, e avevano il compito di dare a tutti i parenti, oltre al sale dato con il dosatore anche una manciata di sale in più.

Anche le tombe sono in stile Walser…..

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I discendenti dei Walser hanno saputo dar vita ad iniziative volte alla rivitalizzazione della cultura tradizionale e al rinnovo degli antichi vincoli di amicizia, senza alcuna rivendicazione di carattere politico. A tal fine da oltre mezzo secolo ha luogo ogni tre anni il “Walsertreffen”, un grande raduno internazionale, organizzato dalla “Internationale Vereinigung für Walsertum”, associazione internazionale delle comunità Walser, nata per proteggere l’antico patrimonio culturale. Per tutti i Walser, che fin dalla prima edizione vi hanno sempre partecipato con grande entusiasmo, rappresenta un’importante occasione per far conoscere la loro civiltà.

E' già partita la macchina del Walsertreffen 2016 2

La cosa importante è stato scoprire come i Walser avessero un senso molto profondo della comunità. Ogni famiglia, sulla base delle sue possibilità, contribuiva ai lavori d’interesse pubblico e tutti mettevano le proprie capacità al servizio degli altri, consapevoli di appartenere ad una collettività, al cui interno era necessaria una stretta collaborazione tra i suoi componenti, pur nella diversità dei ruoli. Riesce forse difficile per noi oggi, immersi in una società estremamente individualista, riuscire a comprendere tale attitudine, ma nel contesto di una realtà, scandita da rinunce e sacrifici, in cui occorreva adeguare la propria vita alle esigenze della famiglia e della comunità, ciò rappresentava un’abitudine consolidata.

La prossima volta racconterò  la visita che abbiamo fatto al Museo Casa Walser di Borca, Macugnaga, dove abbiamo scoperto delle cose molto interessanti che meritano anche una riflessione.

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Ristorante “Antica trattoria del Boden”

Alts Wirtschhuus z’ Boden nel dialetto Walser, cioè Antica trattoria del Boden provincia di Verbania.

Dopo aver visitato la chiesa siamo stati in questa trattoria, una bella veranda tra gli alberi, persone gentilissime e un menù che non ti aspetteresti di trovare in un posto abbastanza fuori dai percorsi turistici, se non percorsi devozionali.

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La cucina è una vera sorpresa: oltre ad alcuni piatti tipici della zona, come gli gnocchi all’ossolana fatti con farina di castagne, formaggi e salumi rigorosamente a km zero e qualche excursus nella cucina svizzera e il piatto walser: Pfifulti e Tafulti.

Si può mangiare anche con un menù a prezzo fisso di euro 10,50 che comprende primo, secondo, contorno, bevande incluse. Siccome i piatti sono invitanti Mauro e Sergio hanno optato per quello. Io invece, bastian contrario come diceva mia nonna, ho voluto assaggiare delle specialità del locale.

Per loro, risotto rosso ai frutti di bosco, filetto di trota salmonata alla piastra con fagiolini e patate fritte, torta soffice di mele.

Risotto rosso, ben combinati i due sapori del riso e dell’acidulo dei frutti di bosco, niente parmigiano, altererebbe il sapore.

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filetto di trota salmonata alla piastra con fagiolini e patate, cottura perfetta

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torta soffice alle mele, si scioglieva in bocca, deliziosa (l’ho assaggiata anch’io…)

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Invece io ho preso dei piatti da menù, uno mi incuriosiva particolarmente e cioè:

PFIFULTI e TAFULTI  ( ??? )
Innanzitutto, lo si può gustare solo all’Antica Trattoria: lo chef Davide si è preso la briga di recuperare e rivisitare due antiche ricette. Ma prima io ho mangiato:

una tartare di manzo su germogli con senape al miele, cipolla e pomodori secchi, non si può andare in Piemonte e non mangiare la tartare. Semplicemente meravigliosa, anche per me che non amo molto la carne, ma questa era veramente unica, la finezza di appoggiarla su un letto di germogli le dava un gusto particolare.

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poi questi sconosciuti Pfifulti e Tafulti, in pratica uno è un grande e lungo gnocco ripieno di prosciutto crudo della Val Vigezzo, leggermente affumicato e toma e l’altro sono dei ritagli di pasta di pane, reimpastati con il pangrattato e ripresi al burro, salvia e aglio orsino (aglio selvatico, di cui si nutrono gli orsi al risveglio) . Ne avrei mangiati ancora tanto è stata una buonissima scoperta, preparazioni semplici, ma nulla da invidiare all’alta cucina.

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e per finire una crostata agli amaretti. Ho fatto dei complimenti al cuoco…. per farmi dare la ricetta, gentilissimo me l’ha spiegata, omettendo sono sicura e comprensibilmente, quel particolare che ha reso una frolla mai assaggiata e irripetibile. La base è di pasta frolla, poi la crema pasticcera e infine gli amaretti interi velocemente intinti nell’Amaretto di Saronno. Ripeto, mai assaggiata una frolla così.

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Qui abbiamo un’alta qualità dei cibi ed un prezzo tutto sommato contenuto; dimenticavo l’acqua, opportunamente filtrata, è quella della fontana, quindi piena di energia positiva.

Sicuramente torneremo, non solo per ritrovare la mia Madonnina, ma anche per assaggiare altre specialità.

E il mio voto per questo ristorante è un 5/5 pieno.