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Vacanze e caldo

Ormai sappiamo che questo grande caldo è dovuto ai cambiamenti climatici, anche se Trump dice non essere vero, però c’è e sembra che anche negli anni a venire potrebbe essere così.

Noi siamo scappati qualche giorno in montagna, sull’Appenino tosco emiliano, mai stati ed è stata una piacevole scoperta. Zona Passo del Cerreto, sullo spartiacque Emilia/Toscana, 1300 mt. quindi nulla da invidiare alle “vere montagne” anche se mancano le Dolomiti per es. Ma  montagne ricoperte interamente di boschi, faggeti e pini, e poi castagni e carpini. E poi laghetti incastonati in un ambiente con un sottobosco incredibile, con tanti fiori e felci. E tanto silenzio e fresco.

Il tempo è stato bellissimo e si poteva respirare, alla sera? La felpa !!!. per ammirare le lucciole nel lago.

Questo era il nostro albergo, proprio sulle rive del piccolo lago del Cerreto

 

e questa la vista dalla finestra della camera

 

e qui abbiamo conosciuto due persone di Reggio Emilia, straordinarie, con le quali abbiamo passato delle piacevoli ore, anche giocando a carte, come si fa nelle vacanze che si rispettino.

e poi passeggiate nei boschi. (percorso vita !!!!!!!)

meraviglia della natura….(foto sotto….)

 

cercando le case degli Elfi

 

il nostro albergo ha ospitato un raduno di vecchie fiat “600”…quanti ricordi…

 

 

oppss….fine della corsa

e fine della vacanza, in un posto indimenticabile.

 

 

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Cascate di Nardis

Le cascate di Nardis, altra tappa delle nostre vacanze, si trovano in val di Genova che è una valle laterale della Val Rendena in Trentino interamente compresa nel Parco naturale provinciale dell’Adamello-Brenta, la più estesa area protetta della provincia di Trento. È nota anche con il nome di “valle delle cascate”.

 

Le cascate di Nardis scendono dalla Presanella gettandosi nella valle  con un salto di oltre 130 metri. Nei mesi invernali le cascate si ghiacciano completamente e divengono luogo per possibili arrampicate sul ghiaccio.

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La val di Genova è una valle molto boscosa, con parecchie cascate raggiungibili attraverso sentieri,

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ma per arrivare a quelle di Nardis c’ è una strada abbastanza comoda, anche se siamo in montagna e, però, bisogna pagare un pedaggio. Quando ho chiesto il motivo la risposta è stata evasiva, sa per i costi di gestione ecc.

Poi arrivati sotto alla cascata sicuramente lo spettacolo è molto bello e proprio di fronte c’è naturalmente, un albergo.

Non ne sono rimasta particolarmente entusiasta, forse camminando per i sentieri c’è un’altra atmosfera, ma lì troppa gente occupata a guardare i cellulari piuttosto che la natura, il pedaggio da pagare e questo mi dà un pò fastidio, insomma non ho provato la stessa sensazione che ho provato in altri posti.

Non saprei che altro aggiungere se non una delle leggende del posto che fa riferimento agli anni 1545-1563, quando i Padri deConcilio di Trento decisero di cacciare streghe e diavoli nella valle. Questi poi si sono incarnati in roccia granitica, andando a formare tra i più famosi: la Preda de la Luna, il Tof del mal Neò, il Tof del Diavùl. Ci sono effettivamente delle rocce nelle quali, con un poco di fantasia, si possono vedere delle forme strane.

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(foto di https://ventisqueras.wordpress.com )

Pensandoci, devo dire che la sensazione che ho provato, è stata un po’ inquietante, non di serenità come mi dà sempre la montagna, forse che effettivamente girino ancora, come dicono, queste streghe?

 

Rango, uno dei borghi più belli d’Italia

Un borgo, nell’elenco dei borghi più belli d’Italia , è RANGO , in provincia di Trento.

Questo magico pugno di case rurali, perfettamente conservate nella loro antica architettura, parla ancora di un passato popolato di pellegrini, pastori con le loro greggi, mercanti e viaggiatori solitari che qui sostavano per riposare. A Rango il tempo sembra essersi fermato…Per entrare in paese una splendida bifora rinascimentale conduce all’intreccio degli edifici rurali;

e all’ingresso un cuore formato da tronchetti di legno e una scritta:

L’amore non parla, bisbiglia, ma tu puoi scriverlo qui, su questo cuore, quanto mi ami”

e noi abbiamo messo le nostre iniziali e…xxxxxxx

A Rango  si puà cogliere  ancora lo spirito della vita contadina che rivive nella rievocazione di mestieri oggi in disuso: ombreler (ombrellaio) il caregheta (impagliatore di sedie), o il calier (calzolaio).

Il “moleta” (l’arrotino) è riproposto in una composizione, inserita in un muro, composta da pezzi di legno, scelti per colore in modo da formare questo bellissimo “quadro”.

Un’altra composizione è questa, altrettanto bella, che rappresenta una donna alla fontana. E’ incredibile la pazienza e l’arte di creare queste composizioni.

qui invece abbiamo l’uomo alla fontana del borgo, la stessa del quadro, luogo di ritrovo di tutti gli abitanti.

Interessante è  una vicenda, di fine ottocento, legata ad un presunto caso di spiritismo di una ragazza del paese di Rango che destò scandalo “anche fuori delle Giudicarie nelle vallate circonvicine“. Da questa vicenda deriva il nome di uno dei portici di Rango all’imbocco della casa dove viveva la ragazza con la sua famiglia, chiamato “portec del diavol”.

qui una simpatica finta fontanella e dei buffi portafiori

 

 

Una rampa per far salire i carri con il fieno da stivare nel fienile in alto.

Altri scorci del borgo:

Se passate da questa zona fate una sosta in questo borgo. Durante il periodo natalizio nelle case e negli androni del borgo si svolge un coloratissimo e famoso  mercatino di Natale. Nel quale non solo potrete ammirare ed acquistare tutto ciò che riguarda il Natale, ma anche degustare i prodotti tipici della zona, ad es.

 Il formaggio SPRESSA delle GIUDICARE DOP è una delle eccellenze più antiche della montagna alpina e il suo nome deriva da “SPRESS” (spremuta), cioè impoverita del grasso.

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LA CARNE SALADA si ottiene con la fesa (ma occasionalmente anche con sottofese e magatelli) di bovino adulto. I tagli, ripuliti da tutte le parti grasse e tendinose, vengono cosparsi con una miscela di sale e altri ingredienti e disposti in un contenitore dove rimarranno dalle 2 alle 5 settimane a seconda delle dimensioni dei singoli pezzi. Si serve  cotta saltata in padella o grigliata e servita con insalata di fagioli, oppure cruda come carpaccio o come una semplice tartare.

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LA CIUIGA è un tipico insaccato prodotto e commerciato nei comuni di Dorsino e di San Lorenzo in Banale, nel Trentino centro-occidentale. Come la maggior parte degli insaccati tradizionali esso è composto da carne di maiale ma la vera particolarità della ciuìga è che nell’impasto vengono aggiunte le rape cotte e sminuzzate.  Siccome l’ho trovata a Bologna l’ho cucinata ed ecco il mio articolo https://lastufaeconomica.wordpress.com/?s=ciuiga

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Il borgo è stato ristrutturato nel suo insieme ed è un bell’esempio di come si possa intervenire senza stravolgere lo spirito del borgo stesso.

Vital Hotel Flora – Comano

Questo è l’albergo che abbiamo scelto per la nostra vacanza/cura a Comano terme, in provincia di Trento.

/https://www.hotelfloracomano.it/

 

e questa vista dalla camera non è forse rilassante?

Questo moderno hotel ci ha garantito un soggiorno piacevole e rilassante grazie alla camere spaziosa e confortevole e ai numerosi servizi. Il ristorante tradizionale  ha proposto squisite ricette della cucina regionale e italiana.

E a proposito ecco Marilena e lo chef, autori di ricette indimenticabili. Per non dimenticare il Maitre, o ( egr. sig. Direttore di sala…..) Davide, sempre presente e disponibile. Naturalmente ricordiamo anche lo staff di sala, simpatici, molto professionali, la reception sempre pronti a consigliarci.

Galleria immagini di questa struttura

Una sera hanno preparato una cena tipica, mi dispiace non ho le foto perchè abbiamo avuto due ospiti, amici conosciuti alle terme, e poi ero impegnata a gustare la cena.

Hanno preparato: antipasto con crostino di polenta di Storo con lardo, speck, cetrioli; poi strozzapreti con speck e zucchine, zuppa di fagioli, polenta e capriolo (troppo buonooo), e naturalmente strudel. Era senza le noci per un’attenzione particolare per le persone allergiche e questo in una cucina fa la differenza.

Poi hanno fatto una “cena romantica” e li è stata una profusione di cuoricini e candela sui tavoli…..

entrèe con crostino di polenta e capriolo, il primo un orzetto con speck

e un’ottima zuppa di zucchine. Credo che mettano anche delle patate per rendere queste zuppe così cremose.

poi, sì saranno poco romantici come piatti, ma le salsicce con un sughino favoloso e il purè a forma di cuore con freccia…….

 

e gli affettati misti con il formaggio con il cumino sono sempre ottimi.

il dolce…una torta di carote con il biscotto a cuoricino fatto con la farina gialla di Storo, direi da fare il bis. Mentre Mauro ha scelto l’ananas, preparato con arte.

Direi quindi che per questo albergo e per il suo ristorante il mio voto è un 5/5 pieno.

Arquebuse

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In quel di Macugnaga ho ritrovato anche la pianta dell’arquebuse, dai bellissimi fiori gialli, ed era tanto che non li vedevo.

Vale la pensa soffermarsi un attimo su questa pianta, Tanaceto (Tanacetum vulgare), Il nome generico derivato dal latino medioevale “tanazita” che a sua volta deriva dal greco ”athanasia” (= immortale, di lunga durata) probabilmente sta a indicare la lunga durata dell’infiorescenza di questa pianta; in altri testi si fa riferimento alla credenza che le bevande fatte con le foglie di questa pianta conferissero vita eterna.

 Fonti storiche parlano dell’arquebuse intorno alla fine del secolo XVII. Sicuramente prodotto originariamente in Francia, nella zona di Lione e del Rhone-Alpes, nacque nei monasteri. Il significato del nome ha più spiegazioni: dall’uso curativo sulle ferite da archibugio,

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alla sensazione che si ha dopo averlo bevuto, a causa dell’alta gradazione alcolica.

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Per molti anni il tanaceto è stato impiegato come erba medicinale. Un’usanza irlandese della metà dell’Ottocento suggerisce un bagno in una soluzione di tanaceto e sale come cura per i dolori articolari. Biscotti al tanaceto erano serviti durante la Quaresima per prevenire i vermi intestinali, infatti si aveva l’errata credenza che il consumo di pesce durante questo periodo, provocasse l’insorgere dei vermi. È da notare che soltanto Tanacetum vulgare è impiegato nelle preparazioni mediche, ché tutte le altre specie di tanaceto sono tossiche, e un sovradosaggio può essere fatale. Nella medicina alternativa, le foglie essiccate di tanaceto sono usate per trattare l’emicrania, nevralgia e il reumatismo, su prescrizione di un erborista competente per evitare una possibile tossicità.

In particolare a questa pianta vengono associate le seguenti proprietà : amare, toniche (rafforza l’organismo in generale), digestive, elimina i vermi intestinali, astringenti (limita la secrezione dei liquidi),  abbassa la temperatura corporea, guarisce le ferite e riduce o elimina la cefalea e l’emicrania.

La ricetta originale prevede l’uso di sette foglie e di un fiore messi a macerare in alcool puro, senza aggiunta di zucchero; e da qui la potenza digestiva del liquore. Invece l’Alpestre, altro nome del liquore prevede l’uso di varie erbe alpine e di sciroppo di zucchero.

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L’Arquebuse è utilizzato anche per preparare caramelle balsamiche

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e cioccolatini ripieni, e può essere consumato in qualsiasi momento ed in vari modi: puro, come digestivo, come correttore del caffé, come rilassante caldo, come dissetante con alcuni cubetti di ghiaccio, come “grog” miscelando acqua bollente al distillato ed, eventualmente, dolcificando con zucchero o miele.

Nello stesso prato c’era questo cartello:

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Immagine correlata            UOMO AVVISATO……….

I Walser

Comune di Issime   “Cammina come un Walser” si diceva un tempo, per qualificare il passo lungo e cadenzato tipico di questo popolo di camminatori che, valicando passi e attraversando ghiacciai, è giunto sino alle pendici del Monte Rosa.

I Walser (contrazione del tedesco Walliser, cioè vallesano, abitante del canton Vallese) sono una popolazione di origine germanica che abita le regioni alpine attorno al massiccio del Monte Rosa.  Si dice che il Monte Rosa sia la montagna dei Walser, anticamente insediatisi appunto per la maggior parte attorno a essa.

E’ molto importante conoscere la loro storia, che risale ai tempi dei tempi, per capire in quali condizioni siano dovuti emigrare e quali difficoltà abbiano dovuto superare per stabilirsi in un luogo e vivere o sopravvivere ad alta quota, con scarsità di terre disponibili, rarità dei pascoli e condizioni climatiche estreme.  E quanto c’è da imparare, oggi, dalla loro storia.

Risultati immagini per popolo walser foto di lampidicielo.wordpress.com

I Walser appartengono al ceppo degli Alemanni, e sono giunti attorno all’VIII secolo nell’alto Vallese; durante il XIIXIII secolo, coloni Walser provenienti dall’alto Vallese si stabilirono in diverse località dell’arco alpino in Italia, Svizzera, Liechtenstein e Austria e Francia e Italia.

Con l’arrivo dei Walser, la cui colonizzazione, di carattere pacifico, contribuì ad aprire nuove vie di comunicazione nel territorio alpino, ebbe inizio una nuova fase della storia delle Alpi.

L’emigrazione del XIII secolo avvenne probabilmente per una serie di cause concomitanti:

  • La sovrappopolazione delle terre dell’Alto Vallese, che spinse i coloni Walser alla ricerca di nuovi pascoli per il loro bestiame e di terre incolte da sfruttare.
  • Le condizioni climatiche particolarmente favorevoli (periodo medioevale caldo), che resero possibile la sopravvivenza anche a quote elevate: i ghiacciai si erano ritirati e molti valichi alpini erano percorribili per gran parte dell’anno.
  • Gli incentivi offerti ai coloni Walser da parte dei signori territoriali e alcune grandi istituzioni monastiche delle terre da colonizzare, che favorirono la creazione di nuovi insediamenti con la promessa di libertà personali e di un favorevole trattamento fiscale.

Nei secoli successivi il clima cambiò radicalmente: alla fase di optimum climatico medievale fece seguito la cosiddetta Piccola era glaciale. I ghiacci tornarono ad avere la meglio e a coprire per molti mesi l’anno i valichi alpini. Diminuirono gli scambi tra le valli, si ridussero i pascoli d’alta quota a disposizione, calarono sensibilmente le rese agricole. Le singole comunità restarono isolate e le popolazioni walser furono costrette in molti casi ad abbandonare le tradizionali attività legate all’agricoltura e all’allevamento del bestiame, spingendo molti uomini ad emigrare in cerca di lavoro.

Il popolo Walser era un popolo molto religioso, tanto che spesso sfociava nella superstizione e che portava a mettere il demonio dietro a qualunque cosa di brutto capitasse. In una parete delle proprie abitazioni esisteva sempre una piccola finestra che veniva aperta solo quando c’era un morto in casa, per permettere all’anima di uscire, e subito dopo richiusa affinché l’anima fosse impossibilitata a rientrarvi.

Autentico cuore del villaggio Walser, il cui nucleo più antico veniva chiamato “Dorf”, inserito armoniosamente nell’ambiente, era la chiesa, dove si svolgeva la celebrazione delle tappe più importanti della vita: nascita, matrimonio e morte, che vedevano la partecipazione di tutta la comunità.

“chiesa vecchia del 1300 situata nella località Dorf, dove ancora vivono le tradizioni Walser.”

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Ogni villaggio era autosufficiente e indipendente e si dedicava all’allevamento del bestiame, alla lavorazione del latte, al taglio del fieno e all’irrigazione dei prati, vi erano molti campi coltivati a cereali, frumento, segale e orzo (fino a 1.800 metri) e ogni famiglia aveva il suo orto. Da notare che non vi erano alberi da frutto. Ogni agglomerato di case possedeva un forno, un mulino per macinare i cereali e una segheria. Dove non avevano prodotti della terra praticavano il baratto ed ecco che a Macugnaga troviamo ancora, nella casa Walser, la padella per arrostire le castagne, che lì non c’erano.

A Macugnaga ci sono ancora delle case in stile walser, bellissime e curate, la base in sasso e il resto in legno. . La costruzione tipica è lo stadel, baita sostenuta da 8 o 10 pilastri a “fungo” in legno e pietra, sia per tenere lontano animali che umidità.

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che belli i paioli appesi ai balconi…

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La cosa incredibile è la “Panificazione” che per la comunità Walser era un momento importante della vita comunitaria. Lo facevano una volta all’anno, sì, una sola volta, in autunno e veniva cotto nel forno, dopo che una famiglia ( a turno) aveva concesso la propria stube per far lievitare l’impasto, preparato dalle donne del villaggio. I pani lievitati e tagliati in pagnotte venivano posti sulle assi e portati al forno dagli uomini.

Il forno con il tetto in beola, davanti si vedono dei ripiani dove appoggiavano il pane da cuocere.

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Le classiche pagnotte, una volta cotte, sarebbero state riposte su delle rastrelliere e conservate in solaio,durante l’anno venivano tagliate con un apposito attrezzo e messe a bagno o nel latte o nell’acqua per ricavarne delle zuppe.

Risultati immagini per rastrelliera per pane walser Il compito dei bambini era quallo di andare giornalmente in solaio a girare il pane, per far sì che seccassero senza ammuffire, naturalmente dovevano fischiettare per evitare di mangiare il pane….

Anche qui in Emilia quando si preparano i tortellini si dice ai bambini che girano attorno al tavolo cercando di prenderne uno, fischia, fischia…

Della prima infornata un pane veniva donato al prete, uno ai padroni dello stube, uno ai più poveri del paese o “anticipato” a chi aveva già finito le scorte con l’impegno a restituirlo appena lo avessero cotto a loro volta. Era un momento di festa, di ritrovo, di amicizia e talvolta anche amore.

Anche il matrimonio era un momento in cui tutta la comunità partecipava, questi sono abiti festivi

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Ancora oggi usa sbarrare la strada al corteo nunziale con uno steccato abbellito da foulard e nastri che avevano lo scopo di rendere difficoltoso allo sposo “portarsi via” la sposa. Infatti era compito dello sposo sciogliere gli sbarramenti. E i bambini del paese si mettono in mezzo alla strada, gli sposi devono mettere dei confetti nei cestini che hanno in mano. Dopo il matrimonio, il corteo nunziale si spostava nei vari bar per le “bicchierate”, pagate dal collettore che aveva allestito una cassa con il contributo di tutti gli uomini presenti.

E il battesimo? A pochi giorni dalla nascita, il neonato veniva portato al fonte battesimale in una curiosa culla di legno intarsiato, di proprietà dei vari ceppi familiari e che si tramandava di generazione in generazione.
La culla era portata da una donna della famiglia su una gerla ed era coperta da un fazzoletto di damasco celeste o rosa. Per allontanare gli spiriti malvagi dai neonati vi era l’usanza di porre un coltello sotto il pagliericcio della culla. E tutt’oggi si svolge ancora così.

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La madrina sfoggiava il costume tradizionale; il padrino indossava un abito di panno scuro.
Dopo il battesimo, risuonavano alcuni rintocchi di campana per annunciare a tutto il paese che un nuovo membro era entrato a far parte della comunità religiosa.

Anche il funerale era un momento comunitario, tutti partecipavano e i  parenti del defunto andavano a comperare dei sacchi di sale che mettevano in un cassone di legno, e lo distribuivano all’uscita della chiesa dopo la funzione,
usando una scodella di legno come dosatore. Di fianco al cassone stavano due donne, anch’esse parenti del
defunto, e avevano il compito di dare a tutti i parenti, oltre al sale dato con il dosatore anche una manciata di sale in più.

Anche le tombe sono in stile Walser…..

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I discendenti dei Walser hanno saputo dar vita ad iniziative volte alla rivitalizzazione della cultura tradizionale e al rinnovo degli antichi vincoli di amicizia, senza alcuna rivendicazione di carattere politico. A tal fine da oltre mezzo secolo ha luogo ogni tre anni il “Walsertreffen”, un grande raduno internazionale, organizzato dalla “Internationale Vereinigung für Walsertum”, associazione internazionale delle comunità Walser, nata per proteggere l’antico patrimonio culturale. Per tutti i Walser, che fin dalla prima edizione vi hanno sempre partecipato con grande entusiasmo, rappresenta un’importante occasione per far conoscere la loro civiltà.

E' già partita la macchina del Walsertreffen 2016 2

La cosa importante è stato scoprire come i Walser avessero un senso molto profondo della comunità. Ogni famiglia, sulla base delle sue possibilità, contribuiva ai lavori d’interesse pubblico e tutti mettevano le proprie capacità al servizio degli altri, consapevoli di appartenere ad una collettività, al cui interno era necessaria una stretta collaborazione tra i suoi componenti, pur nella diversità dei ruoli. Riesce forse difficile per noi oggi, immersi in una società estremamente individualista, riuscire a comprendere tale attitudine, ma nel contesto di una realtà, scandita da rinunce e sacrifici, in cui occorreva adeguare la propria vita alle esigenze della famiglia e della comunità, ciò rappresentava un’abitudine consolidata.

La prossima volta racconterò  la visita che abbiamo fatto al Museo Casa Walser di Borca, Macugnaga, dove abbiamo scoperto delle cose molto interessanti che meritano anche una riflessione.

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Macugnaga e i Walser

Il giorno dopo la visita alle isole Borromee siamo andati a Macugnaga, ai piedi del Monte Rosa,

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così chiamato perchè effettivamente al mattino, al sorgere del sole, si colora di rosa. E’dovuto alla rifrazione del sole su un tipo particolare di roccia brillante. E’ uno spettacolo unico, emozionante. Ma la realtà è meno romantica, perchè il nome “Monte Rosa” non deriva dalle tinte rosa che colorano il massiccio all’alba  come si potrebbe pensare, ma piuttosto dal latino rosia, attraverso il termine del patois valdostano rouése o rouja, che significa ghiacciaio.

Torniamo sulla terra e dopo aver fatto la strada (tortuosa, ma c’è solo quella) della Valle Anzasca, arriviamo al comprensorio di Macugnaga che comprende sette frazioni. Ricordi? Tanti, da piccola lo zio mi portava sempre su e giù, quante volte sono salita a piedi al Rifugio Zamboni Zappa ad ammirare il ghiacciaio.

foto storica del rifugio,certo mooolto prima di quando ci andassi io…

Il rifugio Zamboni-Zappa in una foto d'epoca

E’ nel 1925 che la SEM (Società Escursionisti Milanesi) costruisce nell’Alpe Pedriola il rifugio Zamboni. Si tratta di una costruzione molto spartana ma la frequenza e il passaggio di turisti ed escursionisti sono tali che si decide di ampliarne la struttura. Nel 1954 viene inaugurato quindi il rifugio Zappa, la cui struttura viene collegata al vecchio rifugio zamboni creando un unico rifugio, l’attuale Zamboni-Zappa

ora è così, un moderno rifugio quasi un hotel.

Il rifugio Zamboni-Zappa / Foto © Emanuele Pagani

Ora mi guardo in giro a Macugnaga e trovo un mucchio di villette, bar e ristoranti e soprattutto il ghiacciaio che si è accorciato in maniera impressionante. Per di più sono anni, dal 2001 che la morena del ghiacciaio  è in costante movimento e la montagna scarica massi, proprio per lo sciogliersi dei ghiacciai e ha addirittura cancellato il sentiero per arrivare alla Capanna Marinelli, altitudine m. 3036. Questa è la posizione della Capanna e da lì si sale nella parete Est del Monte Rosa, 3000 metri di dislivello, il cui ingresso è tra le punte Zumstein e Dufour (4634 metri).

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La Capanna Marinelli è stata inaugurata nel 1886 e dedicata a Damiano Marinelli. Il noto alpinista venne travolto nel 1881 da una valanga durante la salita del Canalone omonimo. Otto anni dopo, nel 1889, dalla Capanna Marinelli partì Don Achille Ratti (che diventò in seguito Papa Pio XI) che conquistò la Dufour dal Colle Zumstein (chiamato poi anche Colle del Papa).

Ci fermiamo in piazzetta a farci spennare per tre fette di torta e tre succhi di frutta (24 euro!!!!!) e intanto ammiriamo il luogo e la montagna. Vanno e vengono alpinisti più o meno provetti e mi fanno un po’ invidia perchè vorrei essere lì anch’io per arrampicarmi….

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Poi decidiamo di andare a piedi a Pecetto, frazione più in alto di Macugnaga, paesino tranquillo, dove c’è un tiglio secolare e alcune case della comunità Walser.

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chi ha letto il mio articolo “gita di un giorno” si ricorderà che a Mergozzo c’è un altro albero, un olmo, che ha 600 anni, questo invece è stato piantato nel 1200. Secondo una leggenda, il vecchio Tiglio di Macugnaga fu introdotto e piantato nella seconda metà del ‘200 da una donna che faceva parte dei primi pastori Walser fondatori del paese. Sarebbe stato all’epoca un minuscolo semenzale alto una spanna, portato come “trait-d’union” con la originaria Patria vallesana.

Il fusto, alto 3.5 mt. è completamente cavo dalla base, la circonferenza del fusto è di 7.80 metri, ed anche qui sotto ad esso, si riunivano gli abitanti del paese per tutte le decisioni riguardante la comunità. Anche questo è stato piantonato con pali di ferro per evitarne la caduta.

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io amo gli alberi e mi sono soffermata a guardarlo ed ho sentito che emetteva energia, nonostante tutti i suoi anni, ho detto, aspetta che ne prendo un po’…e mi sono messa tra le sue foglie, perfetto, grazie.

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poi a casa, facendo le mie ricerche, ho scoperto che…avevo ragione, cioè:

E’ un albero che come pochi altri suscita fascino e mistero, un gigante verde ricco di sacralità e di leggende. Tra queste si può rammentare quella dei “Gutwiarghini”, i “buoni lavoratori” della tradizione Walser che abitavano tra le sue fronde e, con rigore e meticolosità, distribuivano alla popolazione preziosi consigli per sopravvivere con nuove soluzioni ergologiche. (ramo dell’etnologia che studia la cultura materiale dei popoli)
Avevano però i piedi rivolti all’indietro e un giorno, venendo uno di loro beffeggiato per quel difetto fisico, scomparvero per sempre. La storia si ripete, il bullismo parte da lontano.!!!

Anche qui, come in Alto Adige, ci sono dei prati bellissimi utilizzati per il foraggio e quindi bisogna rispettarli….monito per i proprietari dei cani !!!!!

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Il Monte Rosa è un po’ imbronciato, ora si fa vedere, ora no e allora cosa si fa? Naturalmente si va a mangiare.

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Abbiamo ritrovato un albergo nel quale eravamo stati sedici anni fa e ci siamo fermati al suo ristorante. Stesso albergo, stessi proprietari, stessa tranquillità. Partiamo con l’antipasto, lardo (veramente pancetta) e salame ai mirtilli. buoni buoni

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poi Mauro ha preso “gnocchi di patate e zucca con panna e speck croccante”

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Sergio invece la classica polenta pasticciata con la toma della valle, al forno

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io, la polenta e la fonduta

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come dolce un semifreddo con crumble e salsa ai frutti di bosco.

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Senza lode e senza infamia, il voto è nella sezione Ristoranti sì e no.

Questo è il luogo, pieno di fiori, non intendevo i due a tavola, Mauro sembra dire….ambè !!

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Sulla via del ritorno ci siamo fermati alla Miniera d’oro della Guia di Macugnaga.

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La miniera d’oro della Guia è delle poche in Europa a essere visitabile dal pubblico. La Valle Anzasca che porta a Macugnaga è una delle zone d’Italia più ricche d’oro. Le acque della valle, attraverso il torrente Toce, confluiscono nel Ticino, facendo di questo fiume il più ricco d’oro in Italia.

La lunghezza totale delle gallerie è di 12 km, distribuite su ben 11 livelli, tre al di sotto del piano di entrata, ora però completamente allagate dall’acqua a causa delle infiltrazioni, e altre sei al di sopra.

Nei primi del XVII secolo furono notati degli affioramenti di vene aurifere in superficie, sulla montagna al di sopra dell’attuale miniera. Si decise così di scavare un tunnel per intercettare e seguire i filoni. La miniera fu aperta nel 1710.

All’epoca dell’apertura gli scavi avanzavano molto lentamente scalpellando a mano la dura roccia granitica. Un ulteriore progresso fu l’introduzione della perforatrice pneumatica, che però aveva il grave difetto di sollevare polvere fine che respirata dai minatori era causa di silicosi.

Dopo due coltivazioni ritenute poco produttive, furono trovati diversi filoni interessanti, e l’estrazione continuò fino al 1945, quando la miniera fu chiusa. La cessazione delle estrazioni non fu dovuta all’esaurimento dei giacimenti, che anzi sono tuttora abbondanti, ma all’aumentato costo della manodopera tale per cui il costo orario di produzione supera il valore del metallo estratto.

Attualmente la miniera è visitabile dai turisti, limitatamente agli 1,6 km della galleria di livello e con l’accompagnamento di una guida. All’interno delle gallerie è allestito un museo che illustra la storia della miniera, delle genti che vi hanno lavorato, delle tecniche di estrazione e di purificazione dell’oro. (Wiki)

Ingresso della miniera, a fianco c’è un piccolo negozio di souvenirs, quali minerali, attrezzi della miniera e piccole schegge di oro conservate in vasettini di vetro.

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Risultati immagini per miniera d'oro della guia

Risultati immagini per miniera d'oro della guia

E così con il mio piccolo e prezioso vasettino con l’oro siamo ritornati a casa.

Ma e i Walser? Già, ma siccome sono molto interessanti meritano un articolo a parte.

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