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Le mie crescentine

Crescentina è un prodotto agroalimentare tipico dell’Emilia, ed è conosciuta anche con altri nomi.

Ad esempio: si chiama crescentina quella di Bologna,  torta fritta a Parma, gnocco fritto a Modena e Reggio Emilia, pinzino a Ferrara e chisolino a Piacenza. Più o meno sono simili, ed è una pasta lievitata e fritta.

Mi sono cimentata nella preparazione, semplice, ma va curata sia nell’impasto che nella cottura. Non essendo emiliana, temevo di non esserne in grado, vista la faccia del marito, emiliano doc e quindi fervente custode delle tradizioni . Ma sono riuscite mooooolto bene, a detta anche degli amici e quindi ora sono emiliana anch’io a tutti gli effetti.

Usb Pubblico Impiego: Soddisfazione e …. una punta di preoccupazione

Ed ecco le mie crescentine: (ricetta tratta da un libro di tradizioni emiliane)

INGREDIENTI:

  • 500 gr di farina
  • 50 gr lievito di birra
  • un cucchiaio di olio di oliva
  • 1 cucchiaino di sale
  • mezzo bicchiere di latte
  • per friggere
  • 50 gr di strutto
  • 1 litro di olio di semi di arachide

Mescolare la farina, il sale, l’olio, il lievito e il latte fino ad ottenere un impasto consistente. Farlo riposare per un’oretta in una ciotola coperta, poi con il matterello tirare una sfoglia alta circa 5 millimetri.

Tagliarla a rombi, o come vi pare…

e dopo aver messo in una padella bassa lo strutto e l’olio, friggere la crescentina, e quando assume un colore dorato e si gonfia, girarla delicatamente sull’altro lato.

Quindi metterla su carta da cucina o quella apposita per i fritti in modo da assorbire l’unto eccessivo.

Usando una piccola parte di strutto le crescentine non saranno nè unte nè pesanti, ma assumeranno il loro gusto caratteristico.

Si accompagnano bene con i salumi, il parmigiano reggiano e i formaggi freschi, e….naturalmente con un bicchiere di Lambrusco.

E sono come le  ciliegie, una tira l’altra.

 

 

 

 

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Trattoria del Borlengo

Tornando da Monteveglio siamo andati alla “Trattoria del borlengo“a Mercatello, paesino nei pressi di Castello di Serravalle nel Comune di Valsamoggia in provincia di Bologna.

E qui abbiamo mangiato i famosi borlenghi.

Cosa sarà mai il “borlengo”?

Il borlengo è una specie di crêpe molto sottile e croccante preparata a partire da un impasto liquido estremamente semplice (è un tipico cibo povero), a base di acqua (o latte), farina, sale e talvolta anche uova: questo impasto è detto colla. Il ripieno tradizionale, detto cunza, consiste in un battuto di lardo, aglio e rosmarino, oltre ad una spolverata di Parmigiano Reggiano. Il borlengo si serve molto caldo e ripiegato in quattro parti. Molti paesi della zona di produzione rivendicano la paternità di questo alimento, la cui origine è decisamente antica: i primi documenti certi risalgono al 1266, ma c’è chi ne situa la data di nascita addirittura nel Neolitico. “

 

Questi sono estremamente sottili e friabili, gustosissimi e tutti ne facevano il bis, ma noi naturalmente prima non ci siamo fatti mancare dei buonissimi tortelloni “vecchia Modena”, cioè tortelloni di ricotta (freschissima) e prezzemolo conditi con burro fuso, guanciale saltato, scaglie di parmigiano e aceto balsamico. Che dire, proverò a rifarli (!) oppure torneremo a gustarli là.

 

Dopo abbiamo preso le tigelle con affettati misti, formaggi e sott’aceti.

Due parole sulle tigelle:

La  crescentina, o tigella è un tipo di pane caratteristico dell’Appennino modenese e vengono consumate tagliandole a metà e imbottendole con un pesto formato da un trito di lardo, aglio e rosmarino e parmigiano reggiano. Inoltre vengono proposte con salumi, formaggi o salse.

La cottura tradizionale avveniva impilando la pasta in alternanza con dischi solitamente di terracotta (chiamati propriamente tigelle) già arroventati nel camino usando le foglie di castagno o di noce per separare l’impasto dalla terracotta, aromatizzarlo e tenerlo pulito dalla cenere. Questi erano rotelle di circa 15 cm di diametro ed 1,5 cm di spessore, formate tradizionalmente con terra di castagneto finemente triturata e modellata in uno stampo di legno con incisioni in bassorilievo (decorazioni geometriche che poi rimanevano stampate sulla pasta durante la cottura) e poi essiccati e cotti.

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Attualmente la cottura, in ambito casalingo è solitamente effettuata in maniera più veloce ponendo i dischi di pasta in uno stampo in alluminio che può contenere dalle 4 alle 7 crescentine da apporre direttamente sulla fiamma come una padella; questo stampo è chiamato tigelliera.

Bene noi abbiamo mangiato delle “tigelle” veramente particolari, un po’ croccanti, ma con l’interno morbido, per cui il pesto  (cunza) di lardo si scioglieva benissimo.

 

 

Naturalmente il tutto innaffiato da un ottimo Pignoletto locale, un bianco frizzante che io, astemia, ho comunque gradito.

No, il dolce non ci stava più, anche se ho visto passare della panna cotta ai futti di bosco veramente invitante.

Vogliamo anche ringraziare Yas, che ci ha servito con competenza e gentilezza.

Quindi il mio voto non può essere che 5/5, siamo stati molto bene e torneremo.

 

Al friz’ an

Ma cosa sarà questa cosa strana……al friz’an…. il friggione bolognese. E’ una preparazione a base di pomodori e cipolle, da preparare e gustare e conservare per l’inverno in tanti bei vasetti colorati, che fanno allegria duarante le giornate grigie.

A casa abbiamo uno specialista del friggione, Mauro, che ogni anno si mette in giardino a prepararlo, aiutato (nello sbucciare cipolle) dalla vicina Giuliana, che pazientemente lo fa a mano, mentre lui adopera anche il compressore per soffiare sopra alle bucce delle cipolle…..

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La ricetta originale, essendo un piatto tipico del bolognese, è depositata alla Camera di Commercio di Bologna ed è un piatto che si può gustare in ogni stagione. Caldo durante l’inverno per accompagnare le carni o la polenta, freddo d’estate.

Non confessate mai a un bolognese che usate il friggione per condire la pasta.

La ricetta del friggione è datata 1886 e nel corso degli anni sono state apportate delle variazioni alla ricetta originale. Variazioni considerate eretiche dai puristi, come sostituire lo strutto con la stessa quantità di olio extravergine di oliva. C’è chi al posto dell’acqua aggiunge, se necessario, brodo.

Questa è la ricetta originale, modificata poi personalmente dal cuoco.

Ingredienti:

  • 4 kg di cipolle bianche – (un po’ preparato con cipolle bianche e un po’ con cipolle di Tropea)
  • 300 gr. di pomodori pelati- ( 2 kg di pomodori freschi)
  •  1 cucchiaino di sale grosso
  • 1 cucchiaino di zucchero
  • 2 cucchiaini di strutto – (olio di oliva)

Procedimento: pelare le cipolle, affettarle sottilmente, condirle con lo zucchero e il sale grosso e metterle a macerare da due a quattro ore. Coprire il recipiente dove si lasciano macerare le cipolle. Trascorso il tempo mettere le cipolle con la loro acqua e lo strutto in un capace tegame e fare cuocere, a fuoco molto lento, mescolando di frequente fino a quando le  cipolle diventano di un bel colore biondo molto scuro. Se tendono ad attaccarsi aggiungere un po’ di acqua. Unire i pomodori spezzettati e continuare la cottura ancora per un paio d’ore, sempre a fuoco moderato e sempre mescolando di frequente.

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Alla fine si deve ottenere una specie di salsa cremosa.

 

 

 

 

 

 

 

la foto è di Cucinando perchè il mio friggione è stato messo nei barattoli e conservati in dispensa, assieme a tutti gli altri barattoli, prima di poterli fotografare. Questo è simile al nostro, in quanto hanno fatto la ricetta originale, come noi.

Ristorante “Antica trattoria del Boden”

Alts Wirtschhuus z’ Boden nel dialetto Walser, cioè Antica trattoria del Boden provincia di Verbania.

Dopo aver visitato la chiesa siamo stati in questa trattoria, una bella veranda tra gli alberi, persone gentilissime e un menù che non ti aspetteresti di trovare in un posto abbastanza fuori dai percorsi turistici, se non percorsi devozionali.

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La cucina è una vera sorpresa: oltre ad alcuni piatti tipici della zona, come gli gnocchi all’ossolana fatti con farina di castagne, formaggi e salumi rigorosamente a km zero e qualche excursus nella cucina svizzera e il piatto walser: Pfifulti e Tafulti.

Si può mangiare anche con un menù a prezzo fisso di euro 10,50 che comprende primo, secondo, contorno, bevande incluse. Siccome i piatti sono invitanti Mauro e Sergio hanno optato per quello. Io invece, bastian contrario come diceva mia nonna, ho voluto assaggiare delle specialità del locale.

Per loro, risotto rosso ai frutti di bosco, filetto di trota salmonata alla piastra con fagiolini e patate fritte, torta soffice di mele.

Risotto rosso, ben combinati i due sapori del riso e dell’acidulo dei frutti di bosco, niente parmigiano, altererebbe il sapore.

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filetto di trota salmonata alla piastra con fagiolini e patate, cottura perfetta

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torta soffice alle mele, si scioglieva in bocca, deliziosa (l’ho assaggiata anch’io…)

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Invece io ho preso dei piatti da menù, uno mi incuriosiva particolarmente e cioè:

PFIFULTI e TAFULTI  ( ??? )
Innanzitutto, lo si può gustare solo all’Antica Trattoria: lo chef Davide si è preso la briga di recuperare e rivisitare due antiche ricette. Ma prima io ho mangiato:

una tartare di manzo su germogli con senape al miele, cipolla e pomodori secchi, non si può andare in Piemonte e non mangiare la tartare. Semplicemente meravigliosa, anche per me che non amo molto la carne, ma questa era veramente unica, la finezza di appoggiarla su un letto di germogli le dava un gusto particolare.

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poi questi sconosciuti Pfifulti e Tafulti, in pratica uno è un grande e lungo gnocco ripieno di prosciutto crudo della Val Vigezzo, leggermente affumicato e toma e l’altro sono dei ritagli di pasta di pane, reimpastati con il pangrattato e ripresi al burro, salvia e aglio orsino (aglio selvatico, di cui si nutrono gli orsi al risveglio) . Ne avrei mangiati ancora tanto è stata una buonissima scoperta, preparazioni semplici, ma nulla da invidiare all’alta cucina.

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e per finire una crostata agli amaretti. Ho fatto dei complimenti al cuoco…. per farmi dare la ricetta, gentilissimo me l’ha spiegata, omettendo sono sicura e comprensibilmente, quel particolare che ha reso una frolla mai assaggiata e irripetibile. La base è di pasta frolla, poi la crema pasticcera e infine gli amaretti interi velocemente intinti nell’Amaretto di Saronno. Ripeto, mai assaggiata una frolla così.

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Qui abbiamo un’alta qualità dei cibi ed un prezzo tutto sommato contenuto; dimenticavo l’acqua, opportunamente filtrata, è quella della fontana, quindi piena di energia positiva.

Sicuramente torneremo, non solo per ritrovare la mia Madonnina, ma anche per assaggiare altre specialità.

E il mio voto per questo ristorante è un 5/5 pieno.

 

 

 

 

 

 

Gita a sorpresa

Cosa si fa oggi, non ho voglia di stare in casa, bene proponi qualcosa, dico io. Saliamo in macchina e, lampadina accesa…..

senti se Mario e Gabriella sono liberi. Bene, loro sono in un mercatino del riuso e allora, via, andiamo anche noi.

Arrivati a Roveleto, prov. di Piacenza ci troviamo tra una miriade di bancarelle, cose belle e cose brutte, cose da collezione e cose particolari.

Mentre loro due (Mario e Mauro) prendono l’aperitivo, noi due a spasso parlando del meno e del più. Trovo degli angioletti per la mia collezione, carinissimi ed anche un panchettino da restaurare. Mauro (Mastro Geppetto) si rifiuta di tenerlo e allora, a malincuore, lo regalo a due ragazzi che nel loro banchetto vendono anche poltrone.

Ma è giunto mezzogiorno e mezzo e io ho fame….troviamo un ristorante sulla strada e naturalmente vogliamo mangiare le specialità piacentine. Buonissima coppa e salame, poi pisarei e fasò, e per secondo bollito con salsa verde.

“I pisarei e fasò sono il piatto simbolo della cucina piacentina, troverete questi particolari (e deliziosi!) gnocchetti preparati con pane raffermo e farina in ogni ristorante della zona di Piacenza, dal ristorante stellato fino alla trattoria più umile.

foto del blog ” www.styleandtrouble.com “

La ricetta è un capolavoro di arte contadina, con un gusto unico, caldo e avvolgente che viene dal sugo molto ricco grazie alla presenza della pestata di lardo (pistà ‘d grass) e fagioli borlotti. Ingredienti semplici per una ricetta immortale.

La ricetta tradizionale dei pisarei e fasò voleva che il pane secco venisse messo a cuocere in acqua fino a quando non si spappolava completamente, ma per rendere la ricetta più veloce su può usare il pane grattugiato e poi aggiungere acqua bollente e il risultato sarà il medesimo.

Ingredienti

  • 300 g pane raffermo grattugiato
  • 100 g di farina bianca fine
  • 40 g di burro
  • 450 g di fagioli borlotti secchi
  • 50 g di salsa di pomodoro
  • 3 spicchi d’aglio
  • pestata di lardo (pistà ‘d grass)
  • olio d’oliva
  • una cipolla
  • un manciata di Grana Padano grattugiato

Preparate l’impasto, amalgamando poco a poco la farina al pane grattugiato versando acqua bollente tanto quanto basto per avere un impasto elastico e morbido. Da questo staccate dei pezzi che assottiglierete con il palmo delle mani fino a dar loro la forma di biscette, simili ad un grissino. Nel frattempo in un tegame preparate il soffritto, a basso calore, facendo imbiondire il burro, l’olio, la cipolla tritata, l’aglio e la pestata di lardo.

Quando il tutto è ben rosolato unite i fagioli e lasciateli insaporire a fuoco lento dopo averli cosparsi di sale e pepe. Aggiungete la salsa di pomodoro e continuate la cottura a fuoco lentissimo. Poi cuocere i pisarei in abbonante acqua bollente salata. Dopo pochi minuti verranno a galla, scolateli e versateli nel sugo.

Una piccola nota sull’etimologica dei pisarei: sembra che il nome venga da bissarei, bissa, ossia biscia, per via della forma di queste “bisce” di pasta.” (tratto da Wine Dahrma).

Poi che si fa? Ma andiamo al Fidenza Village a fare shopping, entra esci, i mariti con santa pazienza o seduti ad un tavolino del bar o dietro a noi giriamo tanti negozi. Fermandoci naturalmente a quelli che hanno tanti prodotti per la casa, ma questo ce l’ho, questo pure, questo è bello ma non mi serve…insomma ma almeno abbiamo comprato due cestini colorati.

Poi come si finisce la serata? Naturalmente con i piedi sotto al tavolo della casa di M. & G., a mangiare la torta fritta o crescentine con la spalla cotta e dei buonissimi formaggi.

A malincuore dobbiamo tornare non prima di aver caricato in macchina un lavoro che Mastro Geppetto deve fare. Mi è sembrato di essere insieme a loro da una settimana, tanto stiamo bene ed abbiamo ideato un nuovo mini raduno, quello sulla direttrice Milano/Rimini, cioè sulla via Emilia.

La via Emilia (via Æmilia) era una strada romana fatta costruire dal console Marco Emilio Lepido per collegare in linea retta Rimini con Piacenza. La sua rilevanza per i traffici commerciali delle aree che attraversava si è ripercossa fino ai tempi moderni: la strada statale SS 9 porta infatti lo stesso nome. Il tracciato odierno però non coincide sempre con quello antico, ed inoltre giunge fino al Milanese, terminando nel comune di San Donato.

Oh, non fraintendete…significa che ci troveremo a sorpresa, tempo per decidere una settimana, nei posti toccati dall’autostrada del sole. In modo che tutti possano arrivare facilmente.

E così si è conclusa una bella domenica, nata nell’incertezza, ma passata con due amici , sempre disponibili, che non chiedono nulla, ma che danno tanto.

Grazie Tata e Bell’Alpino.

 

 

 

 

TORTA DI PANEMELE

Questa è una torta che faceva sempre mia nonna, quando passavo l’estate sul lago da lei. Era una merenda che aspettavo con impazienza e me ne mettevo via sempre una fetta per mangiarla con calma quando mi rifugiavo nella mansarda, dove avevo fatto il mio regno.

Il mio regno…quanti ricordi, mi ero fatta un “appartamento” per me, le mie bambole e  il mio orsacchiotto. Con quello che trovavo, assi, cassette, oggetti dimenticati in soffitta avevo fatto dei piccoli mobili, mio zio aveva trasformato un vecchio armadietto farmacia in un armadio per gli abiti delle bambole, l’aveva tutto ricoperto, dipinto ed io ne andavo fiera.

Poi avevo preso in cucina delle piccole pentole e facevo finta di cucinare, usavo tutto, foglie, fiori, semi, frutta e tutto ciò che trovavo.

Era molto divertente e qualche volta invitavo delle amiche, ma preferivo stare da sola con le mie bambole e i miei sogni.

La torta veniva cotta sempre nella stessa teglia, usata solo per questo dolce e tuttora mantengo l’abitudine.

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Melanzane uso funghi

da: “Il Talismano della felicità” di Ada Boni:

Di Voi, Signore e Signorine, molte sanno suonare bene il pianoforte o cantare con grazia squisita, molte altre….conoscono le lingue moderne, sono piacevoli letterate o fini pittrici, ed altre ancora sono esperte nel “tennis” o nel “golf”, o guidano con salda mano il volante di una lussuosa automobile. Ma, ahimè, non certo tutte, facendo un piccolo esame di coscienza, potreste affermare di saper cuocere alla perfezione due uova al “guscio” –

Così Ada Boni ottant’anni orsono scriveva la dedica alle lettrici nella prima edizione del “Talismano della felicità”, un manuale di cucina che raccoglieva tutte le ricette da lei pubblicate sin dal 1915 sulla rivista “Preziosa”. Diceva anche che “la cucina è la più gaia delle arti ed insieme la più piacevole delle scienze”. E sicuramente si può condividere.

Io ho tutti e sette i libri e leggendoli, si nota uno spaccato della vita “domestica” di quei tempi. Come servire a tavola, la preparazione dei menù, la disposizione dei “commensali”, molto interessante soprattutto se rapportato ai nostri tempi.

Ho voluto preparare le melanzane uso funghi,  riportando esattamente come è scritta la ricetta nel libro.

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