
Come avevo accennato nel post – uova e fagioli, oggi vi presento i pesci gatto pescati da Fiorino nel suo macero.
Intanto cos’è un macero:
I maceri sono degli invasi di acqua artificiali, elementi caratteristici del paesaggio rurale della pianura emiliana, bolognese e ferrarese in particolare, che hanno avuto una grandissima importanza nella storia della coltivazione della canapa per secoli e fino alla metà del 1900; e ancora oggi, se ben conservati, possono svolgere una funzione di riequilibrio ecologico , favorendo la conservazione di habitat naturali e di specie di flora e fauna selvatica tipici e originari della nostra pianura e delle zone umide.

La canapa fu introdotta in Romagna a partire dal XV secolo dagli agronomi della Repubblica di Venezia che ritenevano la sua fibra di grande valore perché particolarmente adatta per la fabbricazione di cordami e vele per le imbarcazioni.
In Italia la coltivazione della canapa ottenne un notevole incremento attorno al 1500, quando cominciò a sostituire gradatamente il lino, in crisi per condizioni climatiche sempre più avverse. Da allora questa coltura continuò nelle nostre terre ininterrottamente e raggiunse la massima diffusione durante il XIX secolo, per poi iniziare una rapida riduzione a partire dal 1920 a causa della espansione di altre coltivazioni più redditizie come la barbabietola da zucchero e la frutticoltura, la scoperta di fibre alternative e con l’importazione del prodotto grezzo da paesi dove la manodopera costava meno, fino a cessare definitivamente nell’immediato secondo dopoguerra.

La canapa, tagliata e raccolta in fasci, doveva in seguito subire una fase di macerazione attraverso la immersione in acqua.
Per questa operazione erano necessari i maceri ( i mesar),
La macerazione era necessaria per neutralizzare l’azione delle sostanze collanti, clorofilla e pectina, che trattenevano la fibra tessile attorno allo stelo legnoso, detto canapulo.
Nei primi giorni il macero si popolava di anfibi: rane, rospi e raganelle, che però fuggivano appena le sostanze della canapa iniziavano a sciogliersi rendendo l’acqua troppo inquinata.
L’immersione durava all’incirca 8 giorni. Nel giorno designato per estrarre la canapa (cavè la camna) si iniziavano le operazioni alle prime luci dell’alba, l’addetto (e cavador) si immergeva a piedi nudi ed iniziava ad afferrare e sciogliere i fasci ed a sbattere i mannelli nell’acqua per ripulirli dal viscidume. I fasci erano poi messi ad asciugare nei campi di stoppie ed appena asciutti erano trasportati nell’aia per essere successivamente sottoposti alla scavezzatura (la macadura) per separare la fibra , a cui seguiva la gramolatura (la gramladura) per raffinare e rendere più lucente e setosa la canapa, finalmente pronta per la commercializzazione.
Le sezioni frantumate dei canapuli (i canarel) erano raccolte ed accatastate perché preziose per accendere il fuoco nel camino (l’arola). Molte famiglie trasformavano i canarel in rudimentali fiammiferi (i suifanel) immergendoli per alcuni centimetri in un bidoncino di zolfo fuso.
Nel loro piccolo questi specchi d’acqua hanno un loro ecosistema, sia al loro interno che all’esterno, infatti può capitare più volte di vedere alzare un airone cenerino o un passaggio del martin pescatore con i suoi inconfondibili colori.
Ma dentro al macero ci sono anche delle carpe e dei pesci gatto. 
E sono proprio questi ultimi che Fiorino ha pescato e poi ce li ha preparati, come sempre appetitosi e naturalmente gustati a tempo di record. Insieme ha cotto anche delle zucchine a fiammifero, alla vecchia maniera e portati in tavola, pesci e verdure, nella cassetta con la carta gialla “da macellaio” di una volta.


Ed ecco FIORINO, orgoglioso nel presentarci i suoi pesci gatto.