Il giorno dopo la visita alle isole Borromee siamo andati a Macugnaga, ai piedi del Monte Rosa,

così chiamato perchè effettivamente al mattino, al sorgere del sole, si colora di rosa. E’dovuto alla rifrazione del sole su un tipo particolare di roccia brillante. E’ uno spettacolo unico, emozionante. Ma la realtà è meno romantica, perchè il nome “Monte Rosa” non deriva dalle tinte rosa che colorano il massiccio all’alba come si potrebbe pensare, ma piuttosto dal latino rosia, attraverso il termine del patois valdostano rouése o rouja, che significa ghiacciaio.
Torniamo sulla terra e dopo aver fatto la strada (tortuosa, ma c’è solo quella) della Valle Anzasca, arriviamo al comprensorio di Macugnaga che comprende sette frazioni. Ricordi? Tanti, da piccola lo zio mi portava sempre su e giù, quante volte sono salita a piedi al Rifugio Zamboni Zappa ad ammirare il ghiacciaio.
foto storica del rifugio,certo mooolto prima di quando ci andassi io…

E’ nel 1925 che la SEM (Società Escursionisti Milanesi) costruisce nell’Alpe Pedriola il rifugio Zamboni. Si tratta di una costruzione molto spartana ma la frequenza e il passaggio di turisti ed escursionisti sono tali che si decide di ampliarne la struttura. Nel 1954 viene inaugurato quindi il rifugio Zappa, la cui struttura viene collegata al vecchio rifugio zamboni creando un unico rifugio, l’attuale Zamboni-Zappa
ora è così, un moderno rifugio quasi un hotel.

Ora mi guardo in giro a Macugnaga e trovo un mucchio di villette, bar e ristoranti e soprattutto il ghiacciaio che si è accorciato in maniera impressionante. Per di più sono anni, dal 2001 che la morena del ghiacciaio è in costante movimento e la montagna scarica massi, proprio per lo sciogliersi dei ghiacciai e ha addirittura cancellato il sentiero per arrivare alla Capanna Marinelli, altitudine m. 3036. Questa è la posizione della Capanna e da lì si sale nella parete Est del Monte Rosa, 3000 metri di dislivello, il cui ingresso è tra le punte Zumstein e Dufour (4634 metri).

La Capanna Marinelli è stata inaugurata nel 1886 e dedicata a Damiano Marinelli. Il noto alpinista venne travolto nel 1881 da una valanga durante la salita del Canalone omonimo. Otto anni dopo, nel 1889, dalla Capanna Marinelli partì Don Achille Ratti (che diventò in seguito Papa Pio XI) che conquistò la Dufour dal Colle Zumstein (chiamato poi anche Colle del Papa).
Ci fermiamo in piazzetta a farci spennare per tre fette di torta e tre succhi di frutta (24 euro!!!!!) e intanto ammiriamo il luogo e la montagna. Vanno e vengono alpinisti più o meno provetti e mi fanno un po’ invidia perchè vorrei essere lì anch’io per arrampicarmi….

Poi decidiamo di andare a piedi a Pecetto, frazione più in alto di Macugnaga, paesino tranquillo, dove c’è un tiglio secolare e alcune case della comunità Walser.

chi ha letto il mio articolo “gita di un giorno” si ricorderà che a Mergozzo c’è un altro albero, un olmo, che ha 600 anni, questo invece è stato piantato nel 1200. Secondo una leggenda, il vecchio Tiglio di Macugnaga fu introdotto e piantato nella seconda metà del ‘200 da una donna che faceva parte dei primi pastori Walser fondatori del paese. Sarebbe stato all’epoca un minuscolo semenzale alto una spanna, portato come “trait-d’union” con la originaria Patria vallesana.
Il fusto, alto 3.5 mt. è completamente cavo dalla base, la circonferenza del fusto è di 7.80 metri, ed anche qui sotto ad esso, si riunivano gli abitanti del paese per tutte le decisioni riguardante la comunità. Anche questo è stato piantonato con pali di ferro per evitarne la caduta.



io amo gli alberi e mi sono soffermata a guardarlo ed ho sentito che emetteva energia, nonostante tutti i suoi anni, ho detto, aspetta che ne prendo un po’…e mi sono messa tra le sue foglie, perfetto, grazie.

poi a casa, facendo le mie ricerche, ho scoperto che…avevo ragione, cioè:
E’ un albero che come pochi altri suscita fascino e mistero, un gigante verde ricco di sacralità e di leggende. Tra queste si può rammentare quella dei “Gutwiarghini”, i “buoni lavoratori” della tradizione Walser che abitavano tra le sue fronde e, con rigore e meticolosità, distribuivano alla popolazione preziosi consigli per sopravvivere con nuove soluzioni ergologiche. (ramo dell’etnologia che studia la cultura materiale dei popoli)
Avevano però i piedi rivolti all’indietro e un giorno, venendo uno di loro beffeggiato per quel difetto fisico, scomparvero per sempre. La storia si ripete, il bullismo parte da lontano.!!!
Anche qui, come in Alto Adige, ci sono dei prati bellissimi utilizzati per il foraggio e quindi bisogna rispettarli….monito per i proprietari dei cani !!!!!

Il Monte Rosa è un po’ imbronciato, ora si fa vedere, ora no e allora cosa si fa? Naturalmente si va a mangiare.

Abbiamo ritrovato un albergo nel quale eravamo stati sedici anni fa e ci siamo fermati al suo ristorante. Stesso albergo, stessi proprietari, stessa tranquillità. Partiamo con l’antipasto, lardo (veramente pancetta) e salame ai mirtilli. buoni buoni

poi Mauro ha preso “gnocchi di patate e zucca con panna e speck croccante”

Sergio invece la classica polenta pasticciata con la toma della valle, al forno

io, la polenta e la fonduta

come dolce un semifreddo con crumble e salsa ai frutti di bosco.

Senza lode e senza infamia, il voto è nella sezione Ristoranti sì e no.
Questo è il luogo, pieno di fiori, non intendevo i due a tavola, Mauro sembra dire….ambè !!

Sulla via del ritorno ci siamo fermati alla Miniera d’oro della Guia di Macugnaga.

La miniera d’oro della Guia è delle poche in Europa a essere visitabile dal pubblico. La Valle Anzasca che porta a Macugnaga è una delle zone d’Italia più ricche d’oro. Le acque della valle, attraverso il torrente Toce, confluiscono nel Ticino, facendo di questo fiume il più ricco d’oro in Italia.
La lunghezza totale delle gallerie è di 12 km, distribuite su ben 11 livelli, tre al di sotto del piano di entrata, ora però completamente allagate dall’acqua a causa delle infiltrazioni, e altre sei al di sopra.
Nei primi del XVII secolo furono notati degli affioramenti di vene aurifere in superficie, sulla montagna al di sopra dell’attuale miniera. Si decise così di scavare un tunnel per intercettare e seguire i filoni. La miniera fu aperta nel 1710.
All’epoca dell’apertura gli scavi avanzavano molto lentamente scalpellando a mano la dura roccia granitica. Un ulteriore progresso fu l’introduzione della perforatrice pneumatica, che però aveva il grave difetto di sollevare polvere fine che respirata dai minatori era causa di silicosi.
Dopo due coltivazioni ritenute poco produttive, furono trovati diversi filoni interessanti, e l’estrazione continuò fino al 1945, quando la miniera fu chiusa. La cessazione delle estrazioni non fu dovuta all’esaurimento dei giacimenti, che anzi sono tuttora abbondanti, ma all’aumentato costo della manodopera tale per cui il costo orario di produzione supera il valore del metallo estratto.
Attualmente la miniera è visitabile dai turisti, limitatamente agli 1,6 km della galleria di livello e con l’accompagnamento di una guida. All’interno delle gallerie è allestito un museo che illustra la storia della miniera, delle genti che vi hanno lavorato, delle tecniche di estrazione e di purificazione dell’oro. (Wiki)
Ingresso della miniera, a fianco c’è un piccolo negozio di souvenirs, quali minerali, attrezzi della miniera e piccole schegge di oro conservate in vasettini di vetro.




E così con il mio piccolo e prezioso vasettino con l’oro siamo ritornati a casa.
Ma e i Walser? Già, ma siccome sono molto interessanti meritano un articolo a parte.
