Archivio mensile:ottobre 2012

OSSA DA MORDERE

No, non è uno scherzetto di Halloween, perchè io non lo “festeggio”, lo trovo inutile, dispendioso e poi non ci appartiene.

Queste ossa da mordere in dialetto lombardo si dicono “oss de mord” e sono dei buonissimi biscotti, molto particolari. Sono anche chiamati, in maniera errata, “oss de mort” perchè si preparano per il due novembre.

Io li ho fatti, invece, per il primo novembre per festeggiare tutti i Santi e, a questo proposito faccio gli auguri a tutti, anche a quelli che hanno il nome senza il santo corrispondente e quindi non festeggiano l’onomastico.

Ho trovato la ricetta su uno dei libri della mia collezione di ricette tradizionali, La cucina  lombarda di A. Molinari Prandelli. Fa parte di una serie di libri di ricette tradizionali e sono molto interessanti.

INGREDIENTI – in rosso le mie modifche

  • 100 gr di farina 00
  • 250 gr di mandorle – 200 gr di mandorle spellate
  • 200 gr di zucchero
  • 1 albume
  • la scorza di un limone
  • due cucchiai di latte

Tritare grossolanamente le mandorle insieme allo zucchero. Unire alla farina, le mandorle e lo zucchero tritati, la buccia grattugiata del limone, l’albume montato a neve e il latte.

Mescolare bene fino ad ottenere un panetto che si metterà sul tagliere.

Allungare l’impasto a salame, affettarlo (spessore circa 1 cm.) e disposrlo sulla placca del forno.

Mettere in forno già caldo a 170° e cuocere per circa mezz’ora.

Diventeranno dei biscotti un po’ duri, ma friabili dentro.

Lasciarli raffreddare e conservarli in un contenitore, dureranno a lungo (se non si mangiano prima).

Con questa ricetta partecipo al contest

 “La mandorla” del  blog – Un tavolo per quattro –

Polpette di ceci

Queste polpette possono essere benissimo un antipasto, le ho preparate stasera e ………sono sparite subito.

Parliamo dei ceci:

l cece è una pianta erbacea e i semi di questa pianta sono i ceci.

Il nome deriva dal latino cicer. E la nota curiosa è  che il cognome di Cicerone discendeva da un suo antenato, che aveva una caratteristica verruca a forma di cece sul naso.

Le prime testimonianze archeologiche della coltivazione del cece risalgono all’età del bronzoe sono state rinvenute inIraq; i ceci si diffusero poi in tutto il mondo antico: antico Egitto, Grecia antica, Impero Romano..

Il cece è la terza leguminosa per produzione mondiale, dopo la soia e il fagiolo, la coltivazione avviene principalmente in India e Pakistan. In Italia la coltivazione non è molto diffusa, nonostante sia un cibo altamente proteico, a causa delle basse rese e della scarsa richiesta; viene consumato principalmente nelle regioni meridionali insieme con la pasta  e in Liguria, dove piatti tipici a base di ceci sono la farinata e la panissa.

INGREDIENTI:

  • 300 gr di ceci secchi, ammollati e tritati
  • prezzemolo
  • 1 uovo
  • un cucchiaio di farina
  • 1 cipolla media
  • due cucchiaini di pesto (fatto da me)
  • un poco di sale
  • burro
  • carote

Ho prima tritato i ceci, a parte ho tritato il prezzemolo e la cipolla, poi li ho aggiunti ai ceci, ho unito l’uovo e il pesto, la farina e il sale, mescolando il tutto molto bene.

Ho formato delle polpette, le ho infarinate e poi le ho cotte in abbondante burro fuso.


Ho tritato le carote a julienne, condite poi leggermente con olio, aceto balsamico e sale.
Ho disposto poi le polpette sul letto di carote.

E’ un modo un po’ diverso per mangiare i ceci.

Con questa ricetta partecipo al contest “Polpettiamo” del blog

Squisito  Cooking.

 

SAGRA DELLE “MELE CAMPANINE”

Siamo stati a questa sagra a S. Possidonio, in provincia di Modena nel cuore dell’epicentro del terremoto di maggio.

La prima cosa che salta all’occhio è la volontà e caparbietà che hanno queste persone di rimettersi in piedi, fuori dalle fabbriche che stanno piano piano tornando al lavoro ci sono cartelli con scritto – stiamo tornando – noi non molliamo – grazie a tutti quelli che ci danno una mano – ed anche questa sagra è la prova che tutto deve tornare alla normalità.

Siamo stati anche a Finale Emilia, tutto transennato, le case messe in sicurezza e i vigili del fuoco (sez. Alpini) che stanno lavorando sulla rocca tutta ricoperta di ferite e le cui torrette sono crollate.

Ma stringe il cuore ascoltare il silenzio che c’è in molte strade, vedere il viso triste delle persone anziane, molti negozi sono ancora chiusi e chissà se riapriranno, capire che molti da un momento all’altro hanno perso la casa, il lavoro……

Non dobbiamo far mancare loro la nostra solidarietà, andate a vedere cosa significa vivere così e, anche se in piccolo contribuire all’economia del posto. Noi abbiamo acquistato parmigiano e frutta anche per parenti e amici.

Ma ora vi voglio parlare di questa sagra:
Innanzi tutto cosa sono le “mele campanine”.

La mela campanina, detta anche “l’antica mela della nonna”, appartiene alla tradizione della bassa modenese e bassa mantovana. Uno studio dell’Università di Bologna, mette in evidenza le sue qualità: elevato contenuto in sostanze antiossidanti, elevato contenuto in pectina e polifenoli oltre che di acido ascorbico.

Fin dal 1877 uno storico di Mirandola cita questo frutto in un suo articolo sull’Informatore Mirandolese: “…..  sono in molto pregio i pomi detti campanini  dei quali nell’autunno si fanno larghe provviste e si trasportano fino a Venezia ed altre città”.

Tanti anni fa nel mantovano era diffusa una piccola mela. Veniva raccolta all’inizio del mese di Ottobre ed era il frutto che veniva consumato a pranzo,a merenda,e a cena per tutto l’inverno fino a primavera inoltrata. Questa era la mela campanina che si conservava benissimo per lunghi periodi .  Nel dopoguerra la mela campanina venne quasi del tutto abbandonata,perchè il mercato richiedeva mele più dolci, più grandi e più economicamente vantaggiose. Fortunatamente alcuni frutticultori  hanno provveduto a mantenere in vita questa tradizione. Si,tradizione è la parola giusta, perchè ormai il mercato non la richiedeva quasi più, era l’era dello sviluppo economico,si andavano diffondendo le celle frigorifere,gli incroci generavano molte nuove mele,più grosse,rosse e dalle spese di gestione più limitate. Ma le nuove razze avevano ormai dimenticato i sapori e le qualità delle mele originarie. Le celle frigo funzionavano bene,ma il loro abuso riduceva a volte la mela a un frutto senza sapore,o per meglio dire”senz’anima”. Quindi ecco il ritorno, timidamente, a questi tipi di frutti che hanno delle caratteristiche superiori alle altre mele, hanno un costo limitato e durano moltissimo tempo senza rovinarsi.

Oltre alle mele campanine, c’era un banco che esponeva le “mele antiche”. Hanno catturato subito il mio interesse, anche perchè non sempre si trovano. Sono dell’Azienda Antichi Poderi del Paradiso” di Novellara (RE), che ha iniziato già da alcuni anni a raccogliere e selezionare antiche varietà di fruttiferi, fiori e ortaggi.

Noi abbiamo acquistato delle strepitose mele pesca che lasciano alla fine un delizioso sentore di pesca e, finalmente, le mie mele ruggine, che erano anni che non le trovavo più.

Poi abbiamo trovato, sempre in zona, una agriturismo che voglio segnalare perché è un posto dove si mangia veramente bene.

Tortelloni, tortellini ecc. rigorosamente fatti in casa, anatra, faraona arrosto, filetto di maiale con l’aceto balsamico e delle crostate casalinghe veramente deliziose.

Si tratta dell’Agriturismo “Le Gazze”, località Bottegone prov. Modena. Ha fuori tanto spazio, un laghetto dove ci sono oche, anatre e in un recinto un buffissimo caprone che ha fatto amicizia con Daniela…

 

E cosa ne dite di queste mele grandi come ciliege? E’ una bellissima composizione.

 

Con le mele campanine si preparano delle gustose ricette e, soprattutto sono l’ingrediente principale della mostarda mantovana.

Ora vado a preparare la torta di mele, poi ve la racconto…

NON DIMENTICHIAMO LE “GIUGGIOLE”

Anche le giuggiole fanno parte dei “frutti  dimenticati”,  una volta, soprattutto in Romagna, piantavano gli alberi vicino alle case coloniche perché dicevano che portassero fortuna.

I frutti appartengono da sempre alla tradizione contadina ,un tempo venivano conservati per l’inverno e consumati principalmente dalle donne a “filò”. Nelle lunghe veglie invernali le filatrici abbisognavano di continua saliva per umettare le dita e tirare il filo da avvolgere. Una giuggiola in bocca era quel che serviva.

Il giuggiolo è noto anche come dattero cinese. Si ritiene che il giuggiolo sia originario dell’Africa settentrionale e della Siria, e che sia stato successivamente esportato in  Cina e in India dove viene coltivato da oltre 4000 anni. I romani lo importarono per primi in Italia, e la chiamarono Zizyphus.

Se colto quando non ancora maturo (colore verde uniforme), il frutto, la giuggiola, ha un sapore simile a quello di una mela. Con il procedere della maturazione tuttavia, il colore si scurisce, e il sapore diviene sempre più dolce, fino ad assomigliare a quello di un dattero.

Narra Omero nell’Odissea che Ulisse e i suoi uomini, portati fuori rotta da una tempesta, approdarono all’isola dei Lotofagi, nel nord dell’Africa. Alcuni dei suoi uomini, una volta sbarcati per esplorare l’isola, si lasciarono tentare dal frutto del loto che fece loro dimenticare mogli, famiglie e la nostalgia di casa. È probabile che il loto di cui parla Omero sia proprio lo Zizyphus, un giuggiolo selvatico, e che l’incantesimo dei Lotofagi non fosse provocato da narcotici ma soltanto dalla bevanda alcolica che si può preparare coi frutti del giuggiolo.

Pare che per gli antichi Romani il giuggiolo fosse il simbolo del silenzio, e come tale adornasse i templi della dea Prudenza e le giuggiole erano usate, dopo aver fermentato, per produrre un vino, le cui più antiche preparazioni risalgono a Egizi e Fenici.

Ad Arquà Petrarca comune veneto dove i giuggioli sono ancora piantati nei giardini di molte abitazioni, le giuggiole sono utilizzate per realizzare ottime confetture, sciroppi, e il famoso “brodo di giuggiole”  un antico liquore, inoltre sempre in quella cittadina, esiste ancora una festa, in ottobre,completamente dedicata alle giuggiole.

Ma la giuggiola, oltre ad essere tanto stuzzicante per il palato, ha anche ottime proprietà medicinali. Contiene soprattutto vitamina C. Infatti 10 giuggiole equivalgono a 2 arance. Alcune delle sue principali proprietà terapeutiche sono epatoprotettive, antinfiammatorie, emollienti ed espettoranti. Nella medicina popolare è considerata uno dei quattro frutti “pettorali” con fichi, datteri e uvetta. Viene usata in infuso o in decotto per prevenire e curare i sintomi da raffreddamento e le infiammazioni alle vie respiratorie, e contro la tosse.

 

Ho provato a preparare dei muffins alle giuggiole, ed ho utilizzato il Bimby, ma siccome l’impasto è semplice si può anche eseguire a mano.

Ingredienti:

Per l’impasto

  • 100 gr di giuggiole denocciolate,
  • 150 gr di latte
  • 100 gr di burro
  • 60 gr di zucchero
  • 2 uova
  • 300 gr di farina tipo 00
  • 1 bustina di lievito per dolci
  • un pizzico di sale

Per la glassa reale:

  • 250 gr di zucchero
  • 1 albume
  • 1 cucchiaio di succo di limone

Preparazione dell’impasto:

Mettere le giuggiole nel boccale e tritarle per 15 sec. a vel.9, aggiungere il latte e scaldarlo per 2 min, 37°, vel 1.

Io ho lasciato le giuggiole tritate dentro, così si sono ammorbidite. Poi aggiungere il burro, lo zucchero e le uova, frullare per 20 sec. vel 4.

Unire la farina, il lievito e in un angolo il sale e impastare per 15 sec. vel 5.

Versare l’impasto in pirottini di stagnola, poi infornare in forno caldo a 180° per circa 20 min.

Lasciar raffreddare e poi coprirli con la glassa.

Preparazione della glassa:

Inserire nel boccale lo zucchero e farlo a velo (io ho usato quello già preparato da me e aromatizzato di vaniglia) vel. da 0 a turbo per 30 sec.

Unire l’albume e il succo di limone, 40 sec. vel.6

Poi li ho decorati con una giuggiola e qualche codette colorata.

Mentre ero intenta a fotografarli, nell’attimo dello scatto, si è inserita Montedison, curiosa come sempre.

 

 

 

Gnocchi (spatzle) di zucca

Sono partita da una ricetta di “dany1  del forum Che chef, la passione in cucina” –  “Gnocchi di zucca”, mi è piaciuta molto ed ho provato a fare degli spatzle con un attrezzo apposito che ho.

Questi sono i suoi ingredienti e le mie modifiche.

  • 1 kg di zucca cotta al microonde a 800 per 10 minuti,
  • (600 gr di zucca cotta al forno)
  • 1 uovo
  • mezzo bicchiere di latte
  • 300 gr di farina
  • (180 gr di farina)
  • sale – noce moscata

Frullare la zucca cotta con gli altri ingredienti in modo da ottenere una pastella non troppo densa.

Ho messo a bollire dell’acqua e un dado, per dare più sapore, poi con l’attrezzo appoggiato sulla pentola ho versato qualche cucchiaiata e spatolato, in modo che gli gnocchetti cadessero nella pentola.

 

Li ho raccolti con il mestolo forato e, dopo averli messi nel piatto, ho aggiunto burro fuso e parmigiano.

Le foto non sono molto curate, ma “qualcuno” reclamava il suo piatto e allora…

Sono venuti molto buoni, grazie dany dell’idea.

BENTORNATA ZUCCA

Finalmente questo ortaggio, da cibo povero delle cucine contadine, ha ottenuto un posto in primo piano nelle proposte culinarie degli chef e come arte decorativa la zucca viene trasformata in fioriere, zuppiere ecc.

Inoltre con il suo colore giallo da ancora la sensazione dell’estate, la natura , con questi colori ci lascia prima dell’autunno e dell’inverno ancora un po’ di sole luminoso.

Le  origini della zucca sono sconosciute, ma gli Egiziani, i Romani, gli Indiani, gli Arabi danno testimonianza della loro conoscenza e coltivazione in varietà diverse, così come diverse furono quelle portate da Cristoforo Colombo.

Le specie della zucca sono:

Maxima – Marina di Chioggia, compatta,

Piacentina  – farinosa,

Mantovana – pastosa e dolce. 

Moscata – forma allungata, pastosa , la Piena di Napoli può raggiungere fino ad un metro di lunghezza.

Pepo – molte varietà di zucchine (La zucchina o zucchino è una specie della famiglia delle Cucurbitaceae i cui frutti sono utilizzati immaturi) ed alcune zucche d’inverno.

Lagenaria o zucca a fiasco –  le più grandi, svuotate ed essiccate, venivano usate per il trasporto di vino, latte. Le più piccole per la polvere da sparo, il tabacco e il sale.

In Liguria alcune zucche colorate, svuotate e legate su sughero erano impiegate come segnalatori galleggianti per le reti calate in mare.

La polpa della zucca è ipocalorica (15 calorie 100 gr.), per il suo colore giallo arancione è ricca di vitamina A C e potassio, calcio e fosforo.

La zucca è molto versatile e cotta al forno, bollita, in creme, zuppe, ricette dolci o salate si presta a molte  e interessanti preparazioni.

Dai tortelli, con verdure quali spinaci o funghi, con salsiccia,agli gnocchi, purè per finire con confetture o torte.

Per usarla come polpa passata è meglio eliminare semi e filamenti e cuocerla al forno e solo dopo eliminare la buccia.

E, come diceva sempre mia nonna,non buttare via i semi, prima si lavano e si fanno bollire in acqua salata per 10 minuti. Si scolano, si lasciano intiepidire e si dispongono su una teglia da forno, di fanno tostare a 180° fino a che non siano croccanti e dorati.

La cottura migliore è al forno, intera o a fette, ma sempre coperta con un foglio di alluminio, oppure a vapore, i pezzi vanno messi in un cestello che non tocchi l’acqua; se invece la preparazione richiede che la zucca non sia troppo asciutta si può cuocere (tagliata a pezzi) in microonde.

Si può usare anche fritta, direttamente nell’olio bollente tagliata a fette sottili, infarinata o pastellata.

La zucca svuotata diventa un’originale zuppiera per servire un primo cucinato con la sua stessa polpa, va cotta in forno intera a 180° per 20 minuti, poi raffreddata si toglie la polpa interna, evitando di forarla.

Per evitare che la nostra preparazione si raffreddi conviene mettere la zucca svuotata in forno caldo per 10 minuti, prima di portarla in tavola.

Ma la più classica è la zucca di Halloween, mentre la più suggestiva, tanto più se piccola, è quella intagliata con piccole stelle, nel cui interno sia inserito un lumino, da fare come centrotavola.

Un altro centrotavola può essere la zucca, svuotata e riempita di fiori, rametti, bacche secondo l’occasione, sulla base di una spugna da fiori imbevuta di acqua se i fiori sono freschi, asciutta se invece  i rametti e i fiori sono secchi.

Ora vado a preparare una ricetta che poi pubblicherò.

IKEBANA

Il nome Ikebana nasce da un’offerta di fiori a Buddha, la traduzione letterale della parola è “fiori viventi” oppure “far vivere i fiori”.

E’ un’arte con più di mille anni di storia ed indica una composizione fatta con fiori e rami. Ho frequentato dei corsi di Ikebana e ne ho appreso i primi rudimenti, ma si è in continua evoluzione.

L’importante è non creare barriere tra uomo e natura, perchè i fiori diventano simbolo della natura stessa, trasferita nelle stanze in cui l’uomo vive.

E se riusciamo a creare anche delle composizioni che portiamo in tavola, che l’abbelliscono e che poi si possono consumare, abbiamo raggiunto lo scopo di integrare il bello e il buono.

Oggi ho voluto applicare questa tecnica ad una composizione fatta con le verdure, traendo spunto da un contest proposto dal forum

“che chef la passione in cucina” IN COLLABORAZIONE CON VISUAL FOOD ed ho voluto partecipare con questo centro tavola.

Visual Food di Rita Loccisano si occupa di decorazione utilizzando frutta, verdure, affettati, formaggi ecc per creare delle spendide composizioni, guarnizioni di piatti, segnaposto, centrotavola ecc.

Gli ingredianti del mio centrotavola sono:

  • gambi di sedano
  • foglie di porro
  • insalata quercia
  • pomodorini
  • piccoli wursteln
  • fontina a fette