Archivio mensile:settembre 2015

“L strasc’nat” con cime di rape

Oggi andiamo di ricetta pugliese: ” L strasc’nat” con cime di rape.

Gli Strascinati sono una sorta di orecchiette, specialità tipica di Puglia e Basilicata, ma molto più grandi e aperte. È una pasta in uso nella cucina pugliese e in quella lucana. Si tratta di una preparazione di pasta fresca, senza uovo, come si usa in tutto il meridione d’Italia.

Il termine nasce proprio dal metodo di creazione con cui la pasta prende forma quando viene strascinata sul tavolo di lavoro. La ricetta tradizionale barese prevede la sua cottura con le cime di rapa, un ortaggio che contiene ferro, calcio, fosforo, vitamina A e C e un elevato contenuto di polifenoli.

Le origini non sono da ricercarsi in Puglia, ma molto probabilmente nella zona provenzale francese, dove fin dal lontano Medioevo si produceva una pasta simile utilizzando il grano duro del sud della Francia. Si trattava di una pasta molto spessa e a forma di dischi, incavata al centro mediante la pressione del dito pollice: questa forma particolare ne facilitava l’essiccazione, e quindi la conservazione per fronteggiare i periodi di carestia. Sembra anche che ne venissero imbarcate grandi quantità sulle navi che si accingevano ad affrontare lunghi viaggi. In seguito, sarebbero state diffuse in tutta la Basilicata e la Puglia con il loro nome attuale dagli Angioini, dinastia che nel Duecento dominava le terre delle regioni.

Avendo acquistato delle freschissime cime di rapa ho pensato di provare a fare questi strascinati, mi perdonino gli amici pugliesi se non sono venuti proprio come li fanno loro, ma è la prima volta. In ogni caso io sono soddisfatta, come quando preparo qualcosa che mi appassiona.

strascinati

strascinati (2)

INGREDIENTI:

per la pasta:

  • 500 gr di farina di semola di grano duro
  • 100 gr acqua

l’ho impastata con la planetaria fino a che è diventata un pasta liscia e lavorabile.

per il condimento:

  • 80 gr di olio oliva
  • 2 spicchi di aglio
  • 4 filetti di acciuga
  • 400 gr di cime di rapa (pulite)
  • sale pepe
  • pecorino o parmigiano

Far soffriggere l’aglio in olio, aggiungere i filetti di acciuga, poi togliere e mettere il tutto in una padella a parte.

Cuocere in acqua leggermente salata le cime di rapa per circa 10/15 min, poi aggiungere “l strasc’nat” e continuare la cottura.

Scolare poi la pasta con le cime di rapa e versare il tutto nella padella dove si trovano olio, aglio e acciughe, farle saltare per pochi minuti, aggiungere il pepe e spolverare con il pecorino.

Ecco il risultato, molto buoni. ( il pecorino è stato messo dopo…ooppss…)

strascinati cotti

 

Expo?…Ex-più

Expo Milano 2015 è un’Esposizione Universale con caratteristiche inedite e innovative. Non solo una rassegna espositiva, ma anche un processo partecipativo che intende coinvolgere attivamente attorno a un tema decisivo: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.
Expo si svolge dal 1 maggio al 31 ottobre 2015 in un Sito Espositivo sviluppato su una superficie di 1 milione di metri quadri.  

Giocando sulle parole Expo/Expiù vorrei dire la mia esperienza all’Expo, siamo andati di sabato perchè è stato un viaggio organizzato in pulmann. Traffico e traffico, arrivati al parcheggio pulmann (prenotato) coda, no qui non c’è posto, ma se abbiamo prenotato dice l’autista, no andate nell’altro, no, tornate là, al che l’autista ha detto che non avrebbe fatto altri venti minuti di coda e ci hanno fatto accomodare in un altro parcheggio, ok, cominciamo bene.

Fatto un lungo lungo lungo corridoio sopraelevato, in mezzo ad una folla, per arrivare all’inizio del Decumano, nel frattempo mi cade lo sguardo sotto, dove ad un altro ingresso, una folla, folla? mare di gente, decine di migliaia che aspettavano di entrare, sembravano sardine, ma dico io, se uno si sente male? cosa fa, muore lì?

Ah, le presenze in quel sabato sono state 254.000……

Ho fatto una constatazione che mi ha turbata, guardando quella folla mi sono venute in mente le file che fanno i profughi che fuggono dalla loro terra, soli, a piedi con una sporta di plastica in mano e i bambini in braccio, noi invece qui per entrare a vedere uno spettacolo di opulenza esterna, di grandiose architetture, di multinazionali (che ci fanno il padiglione della Coca Cola o Mac Donald’s, Perugina, Ferrero ecc. va bene che sono sponsor, però….) di pseudo discorso etico sulla salvezza del pianeta. Quante persone avrebbero aiutato se invece di sbattere via tutti quei soldi, avessero creato un fondo facendo una esposizione più modesta e contenuta, ma con dei contenuti più realistici? Ma il dio denaro comanda su tutto.

Con questi pensieri finalmente arriviamo, entriamo, folla, gente, folla, che bello guardiamo questo padiglione, due ora di coda, ma no, cambiamo, oh, guarda ci sono i cluster (cioè gruppo, italiano no?) quello del riso, del caffè, del cioccolato, cioè vari paesi produttori di quell’alimento raggruppati in un unico padiglione. Entriamo spintonati in quello del riso, qualche ciotola con i diversi tipi di riso e poi il negozietto con i “ricordi” . Boh! Andiamo avanti, ma il titolo dell’Expo non era “Nutrire il pianeta, energia per la vita” ? Caffè, cioccolato….2 ore di coda, andiamo avanti, intanto guardiamo da fuori i padiglioni, alcuni molto belli, altri, decisamente brutti, per esempio quello dell’Italia, gran scatolone vuoto all’interno.

Il bello è che dopo una coda estenuante, stai dentro 10/15 minuti davanti a degli schermi o a dei video e stop, fuori. Dentro ci sono i ristoranti con i menù tipici del paese, ma devi avere un fido bancario per cenare.

Giappone? 5 ore di coda, Gran Bretagna? 3 ore, tutto così, gli unici accessibili erano quelli delle banche o quello di Don Bosco……

Va bene, per ora guardiamo da fuori i padiglioni, molto belli quello dell’Oman

o degli Emirati Arabi

Azerbaijan

Gran Bretagna

Israele con le colture in verticale

 

quello italiano, stendiamo un velo pietoso,  è uno scatolone a buchi, andava bene per la Svizzera…

Mangiare? scordatelo, un panino e bibita 15 euro, per bere un caffè 20 min di coda e altrettanti per prendere ad un banchetto volante un gelato. Meno male che avevamo dei panini e della frutta, l’acqua si può prendere a delle fontanelle (previa coda), ma almeno questa è stata una buona idea. Siamo stati a vedere il cluster delle terre aride, grande padiglione, aperto dentro sul quale si affacciano tanti piccoli spazi secondo il paese,  fuori solo qualche pannello che riproduce i deserti, ma non ho capito dove stava il nesso delle terre aride. Gli spazi di ogni paese contenevano un piccolo bar con vendita di cibi africani (un piatto di pane tipo carta’ e musica sardo con un pugno di spezzatino e due cucchiai di salsa, lasciamo perdere il colore, da mangiare ovviamente con le mani …10 euro…) e inoltre la vendita dei prodotti africani che trovi dappertutto.

Mauro e sua cugina sono riusciti ad entrare (solo un’ora di coda alle 7 di sera) nel padiglione di Israele, è piaciuto perchè sui teleschermi hanno spiegato molto bene cosa hanno fatto e fanno  per il pianeta, il Messico no (anche lì un’ora solo di coda), io mi sono rifiutata ero gìà stravolta…..

Non dite perchè era sabato, certo, maggiore affluenza forse, ma anche durante la settimana non puoi evitare le code. A meno che non si abbia un bambino e allora fanno passare davanti. Ma fuori non li affittavano…

E l’albero della vita?

Inutile, incomprensibile sul suo significato e lo spettacolo che fanno ogni ora cambia sempre e non in meglio. Alle sette di sera, pigiati tra la folla, l’albero si è illuminato di vari colori, poi ha fatto qualche spruzzo di fuochi e stop, alle 8 di sera, invece ha cambiato solo qualche volta colore…tutto lì…..gran delusione di tutti viste le aspettative. Devo ancora capire il suo significato, solo che lo hanno copiato da quelli che ci sono a Singapore, che sono uniti e dentro hanno i ristoranti e giardini.

Sarà stata la stanchezza o che non ho visto nulla che fosse attinente al tema, tranne quello di Slow Food ( visto ma perchè è all’aperto) ma è stata una gran delusione e uno spreco di soldi.

Capisco che abbiano fatto degli incontri, meetings (si dice così?), per discutere del tema dell’Expo, ma tra esperti. Non hanno portato nulla a noi poveri mortali, non siamo stati coinvolti in un discorso serissimo e preoccupante. Mi sembrava ad un certo momento, nel viale dove ci sono gli spazi delle regioni italiane, di essere ad una festa dell’Unità. Mi va bene un momento di divertimento con i giochi dell’Aglio di Voghiera, ma la pubblicità delle cure termali del Trentino che c’entra? Dovevano far conoscere le eccellenze d’Italia (grano, vino, olio), ma come nutriamo il pianeta?

Pensavamo di tornare durante la settimana cercando di essere tra i primi ad entrare, ma poi mi sono detta, chi ce lo fa fare, di spendere altri soldi per magari avere la conferma di quello che ho già capito?

Va bene, vuol dire che andremo al prossimo Expo a Dubai nel 2020…..

il tema sarà: connecting minds, creating the future, connettiamo le intelligenze, creiamo il futuro. Speriamo bene…..io penso positivo.

Gramigna con cipolla

Va bene, so che la gramigna, un tipo di pasta corta, in Emilia si mangia con salsiccia e piselli, ma non avendo la salsiccia, mi sono inventata un altro condimento.

Mauro l’ha chiamata gramigna in saor, tipo sarde in saor, va bè si avvicina solo per le cipolle…. Infatti, visto che a noi piacciono molto sia cipolle che aglio, allora oggi vai di questi ingredienti.

Ingredienti:

  • una cipolla dorata un po’ grossa
  • quattro spicchi di aglio, io uso quello di Voghiera (Fe), molto delicato
  • olio di oliva
  • cinque pezzetti di formaggio sott’olio (messo da me)
  • pasta gramigna (per due ho fatto 120 gr)

Mentre l’acqua bolle, ho preparato nella pentola olio e aglio, quando questi è colorito ho aggiunto la cipolla tagliata a fettine sottili, poi il formaggio e ho lasciato dorare il tutto, poi ho spento. Ho cotto la pasta e poi l’ho messa nella pentola a insaporire con il condimento. Finito e mangiato tutto.

gramigna e cipolla

Dopo abbiamo mangiato l’insalata di radicchio e porri (ricetta pubblicata) e così, per oggi, ci siamo tolti la voglia di cipolle & c.

Poi un buon caffè d’orzo che mette a posto tutto.

L’orzo solubile (chiamato anche semplicemente orzo) è un surrogato del caffè senza caffeina, derivato appunto dall’orzo tostato. Viene popolarmente chiamato “caffè d’orzo”, ma l’appellativo è scientificamente scorretto in quanto il caffè deriva da una pianta completamente diversa.

Fu ampiamente usato in passato quando non per tutti era economicamente accessibile il caffè, e in particolar modo quando questo divenne sempre più raro tra il 1936 ed il 1945 a causa dell’embargo imposto dalla Società delle Nazioni in seguito alla Guerra d’Etiopia.

Almeno nella versione italiana, esso ha colore molto simile al caffè di cui è surrogato; a seconda del tipo di lavorazione della polvere può essere semplicemente sciolto in acqua calda, preparato con la moka o come un caffè turco.

Non essendoci oggi la necessità di usufruire di un caffè surrogato, la principale attrattiva di questa bevanda è il fatto che non contiene caffeina, per cui può essere consumata anche da chi ha bisogno di limitare l’assunzione di questa sostanza, mantenendo la vaga impressione di bere del caffè vero e proprio. Il cereale possiede inoltre alcune caratteristiche salutari: svolge ad esempio una funzione antinfiammatoria.

Quando l’orzo viene preparato per infusione  si ottiene una bevanda dal colore più simile al che al caffè. Questa bevanda è conosciuta fin dall’antichità, tanto che viene chiamata la “tisana d’Ippocrate“, che lodò le proprietà di questo cereale.

In Giappone quest’infuso è chiamato mugicha (麦茶), e generalmente è consumata in tutto l’estremo oriente, soprattutto in Corea.

(Wiki)

 

 

Crespelle di farro con verdure colorate

Cosa c’è di più invitante di un piatto colorato con delle belle verdure fresche…anche l’occhio vuole la sua parte….e i peperoni rossi e gialli si prestano molto bene.

I peperoni, queste verdure amate e non, perchè sono poco digeribili, perchè gonfiano, perchè…quante storie, il peperone o Capsicum L. è un genere di piante della famiglia delle Solanaceae, originario delle Americhe . Oltre al noto peperone, il genere comprende varie specie di peperoncini piccanti, ornamentali e dolci.
Secondo alcuni, il nome latino “Capsicum” deriva da “capsa”, che significa scatola, e deve il nome alla particolare forma del frutto (una bacca) che ricorda proprio una scatola con dentro i semi. Altri invece lo fanno derivare dal greco kapto che significa mordere, con evidente riferimento al piccante che “morde” la lingua quando si mangia.

Il frutto viene consumato fresco, essiccato, affumicato, cotto o crudo. Al contrario di quanto si crede comunemente, non sono i semi, ma la membrana interna, la placenta, che contiene la maggior parte di capsaicina, responsabile della piccantezza, quindi è  inutile togliere solo  i semi per ridurre la piccantezza del frutto, mentre è consigliabile togliere la placenta, cioè la parte bianca interna, che contiene i semi, e i filamenti bianchi. Il peperoncino è ricco di vitamina C ed ha un potere antiossidante.

A noi piacciono ed io li uso molto (peperone e peperoncino), anche perchè mettono allegria, con le loro forme e colori.

Se volete delle ricette sul peperoncino, potete andare a sbirciare nel mio contest: – Evviva il peperoncino –

Quarto contest: Evviva il peperoncino (in corso)

Stasera ho preparato delle crespelle di farro con le verdure.

Ingredienti –

per l’impasto delle crespelle:

  • 200 gr di farro
  • 250 gr di acqua
  • sale
  • 2 uova

Unire farina e acqua, aggiungere sale e uova e mescolare bene, far riposare per circa 20 minuti.

per il ripieno:

  • 400 gr tra peperoni e zucchine
  • 2 cucchiai di olio
  • sale alle erbe
  • 1 spicchio di aglio
  • 2 cucchiai di crème fraiche
  • pomodoro fresco a tocchetti per decorare

Stufare brevemente in olio le verdure tagliate, aggiungere aglio e sale alle erbe e far cuocere bene il tutto, completare amalgamando la crème fraiche.

Con l’impasto cuocere le crespelle

crepes in cottura

riempire con la verdura, piegarle e mettere sopra del pomodoro fresco a tocchetti.

crepes farro

crepes farro2

Sono molto appetitose, ma prima ho preparato un’altra verdura colorata:

Carote con cerchietti di porri  –

Ingredienti:

  • 2 carote
  • succo di limone
  • 100 gr di porri
  • sale, olio, aceto, timo

Pulire bene le carote e affettarle senza pelarle, unire subito il succo di limone, tagliare a rondelline il porro e unirlo alle carote. Condire con sale, olio e aceto e timo sminuzzato.

insalata carote (1)

visto che fuori comincia ad imbrunire prima, rischiariamo almeno la cena……ah, è terminata con una fetta di torta di pere….

 

 

 

 

 

Cous cous completo

….di verdure e legumi, buono, molto…

Il COUS COUS: parliamone un po’….

Il cuscus o cùscusu  è un alimento tipico del Nordafrica e della Sicilia occidentale, costituito da  granelli di semola cotti a vapore

Tradizionalmente il cuscus veniva preparato con semola di grano duro, farina granulosa che si può produrre con una macinatura grossolana utilizzando macine primitive, ma oggi con questo nome ci si riferisce anche ad alimenti preparati con cereali diversi, come orzo, miglio, sorgo, riso o mais. Solitamente esso accompagna carni in umido e/o verdure bollite (sulla costa del mar Mediterraneo anche pesce in umido).

Questo piatto è l’alimento tradizionale di tutto il Nordafrica, al punto che lo si potrebbe definire “piatto nazionale” dei Berberi

In Italia il cuscus à preparato nel trapanese, in Sicilia; è cotto a vapore in una speciale pentola di terracotta smaltata, ma il condimento, a differenza di quello magrebino, è un brodo di zuppa di pesce. Il nome nel dialetto locale è cùscusu. Dalla Sicilia, il cuscus è stato portato a Livorno (cuscus d’agnello) e a Genova.

Uno dei primi riferimenti scritti al cuscus viene dall’anonimo autore di un libro di cucina dell’al-Andalus, la Spagna musulmana del XIII secolo, Il cuscus era noto anche nel sultanato di Granada dei Nasridi. Sempre nel XIII secolo uno storico siriano di Aleppo cita il cuscus in quattro occasioni. Queste citazioni così antiche mostrano che il cuscus si diffuse rapidamente, ma che in generale esso era comune soprattutto nell’occidente islamico fino alla Tripolitania. Oggi, il cuscus è conosciuto in Egitto e nel Vicino Oriente, ma in Marocco, Algeria, e Tunisia, il cuscus è il piatto-base.

I chicchi di cuscus vengono fatti con la semola (grano duro macinato grossolanamente) o, in alcune regioni, da miglio macinati grossolanamente. La semola viene aspersa d’acqua e lavorata con le mani per farne pallottoline, che vengono asperse di semola asciutta per tenerle separate, e poi passate al setaccio. Le pallottoline che sono troppo piccole per costituire i chicchi di cuscus passano attraverso il setaccio e vengono di nuovo asperse di semola asciutta e lavorate a mano. Questo processo continua fino a che tutta la semola è stata trasformata nei minuscoli chicchi del cuscus. Questo procedimento richiede una lavorazione molto prolungata. Il cuscus dovrebbe essere passato al vapore due o anche tre volte. Quando è cotto come si deve è morbido e leggero, non dovrebbe essere gommoso né formare grumi. Il cuscus che si trova in vendita nei supermercati occidentali è solitamente passato al vapore una prima volta e poi essiccato, e le istruzioni sulla confezione consigliano di aggiungervi un po’ di acqua bollente per renderlo pronto al consumo. Questo metodo è rapido e facile da preparare: basta mettere il cuscus in una ciotola e versarvi sopra l’acqua o il brodo bollente, coprendo poi la ciotola con un foglio di plastica. Il cuscus si gonfia e nel giro di pochi minuti è pronto da servire, dopo averlo rimescolato con una forchetta.

In Tunisia, Algeria e Marocco, il cuscus viene generalmente servito con verdure (carote, rape, ecc.) lessate in un brodo più o meno piccante, e qualche tipo di carne (di solito, pollo, agnello o montone); in Marocco, sul cuscus si può trovare anche del pesce in salsa agrodolce con uvetta e cipolle;

In Sicilia, a Trapani  e nelle zone limitrofe come Favignana, e San Vito Lo Capo, il cuscus (cuscusu in dialetto) è divenuto di uso quasi quotidiano. La semola è incocciata e poi cotta a vapore in una speciale pentola forata di terracotta smaltata. Ma il condimento, a differenza di quello magrebino, è la Ghiotta, un brodetto di pesce misto di scorfano rossocernia, pesce San Pietrogallinella, e anguilla delle saline della zona, insieme a qualche gambero o scampo.

Altra versione in particolare a Marsala e Mazara del Vallo sono i “frascatuli”, palline di semola impastata, accompagnati con brodo di pesce. Nell’entroterra trapanese il cuscus o le frascatole sono cucinati anche accompagnati da una zuppa di cavolfiore, fave, carote, ceci e verdure varie. Tale piatto esiste anche in Sardegna, cucinato alla stessa maniera e chiamato Fregula.

Il “cuscus trapanese” è inserito tra i Prodotti agroalimentari tradizionali siciliani riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, su proposta della Regione Siciliana.”

Io ho acquistato il cous cous già pronto e così l’ho preparato:

INGREDIENTI:

  • 250 gr di cous cous
  • 200 gr di ceci
  • 2 peperoni (uno rosso e uno verde),
  • 2 zucchine
  • la parte verde di un porro
  • 2 spicchi grandi di aglio
  • 1 carota
  • 1 vasetto di salsa di pomodoro (il mio)
  • 80 gr di burro
  • sale alle erbe
  •  250 gr di acqua
  • 2 cucchiai di olio

Ho messo a stufare in un po’ di burro le zucchine affettate, i peperoni a listarelle, l’aglio e la carota e il porro, i ceci ( quelli preparati da me e messi in vasetto)

barattoli ceci

A metà cottura ho aggiunto il pomodoro, poi il sale.

cous cous2

Intanto ho messo in una pentola 250 gr di acqua, leggermente salata, con i cucchiai di olio e l’ho portata a bollore. Ho tolto la pentola dal fuoco e ho versato il cous cous e mescolando delicatamente ho lasciato poi gonfiare i granelli per circa due minuti. Ho aggiunto un poco di burro e, rimesso sul fuoco, l’ho lasciato cuocere lentamente per almeno 3/4 minuti, mescolando con una forchetta.

A cottura ultimata delle verdure le ho ben mescolate, messo il cous cous in un piatto da  portata, irrorato con il sughetto e sopra ho messo le verdure. Ecco il risultato:

cous cous 3

 

 

 

Radicchio con strisce di porro

Buonissima insalata tratta dal mio solito libro: “La nuova cucina integrale” di  Rita Bernardi. Trovo sempre tantissimi spunti per preparare degli ottimi piatti, sani e nutrienti, tante idee, alle quali posso aggiungere sempre un tocco personale.

Ecco gli ingredienti:

  • 200 gr di radicchio
  • 100 gr di porro
  • 10 olive
  • 1 cucchiaino di senape
  • 2 cucchiai di panna acida (io ho usato quella fresca)
  • sale alle erbe (il mio)
  • aceto balsamico (io quello di mele)
  • olio di oliva

poi ho aggiunto due piccole patate cotte (avanzo di ieri) e, pensandoci ci stanno bene anche alcune fettine di mela.

Lavare il radicchio e tagliarlo a strisce, tagliare a metà il porro ed affettarlo sottilmente, poi mescolare le olive tagliate a rondelle.

Preparare un condimento con senape, panna,sale, aceto e olio e con questo condire l’insalata. Un’insalata veramente piacevole e gustosa.

insalata con porro

 

Dolcetti al miglio

Tanto per cambiare, ho provato a preparare dei dolcetti al miglio, ci è piaciuto questo gusto delicato e nuovo.

Panicum miliaceum1.jpg

Il miglio  è una pianta erbacea annuale che rientra nel raggruppamento dei cereali minori. Nelle regioni dell’Italia meridionale, il miglio viene solitamente indicato con il pittoresco vocabolo vernacolare di “Vulpicoca” (Vulp’coc). La radice etimologica del nome dialettale si deve alle caratteristiche inflorescenze paragonabili per forma alla coda della volpe.

 La specie sarebbe originaria del Medio Oriente. È accertato che la coltivazione del miglio risalga ad epoche preistoriche: in Italia è stato ritrovato in tombe del Neolitico.

Largamente utilizzato per l’alimentazione umana all’epoca dei Romani, raggiunse la massima diffusione nel primo Medioevo, durante il quale veniva considerato un ottimo sostituto della carne nei periodi di astinenza prescritti dalla Chiesa, successivamente iniziò un lento declino perché sostituito da altri cereali più produttivi.

Caratterizzato da una lunga conservabilità, è grazie a questo cereale stoccato nei magazzini cittadini che Venezia, assediata dai Genovesi nel 1378, si salvò dalla morte per fame.

Per secoli la polenta di miglio fu un piatto tipico dell’Italia settentrionale, in particolare in Veneto, Lombardia e Trentino.

Nell’alimentazione umana occidentale odierna il miglio ha interesse marginale, venendo impiegato per produrre farine e semole utilizzate soprattutto dalla cucina macrobiotica.

Il valore dietetico è elevato, per il discreto tenore in proteine (11% in peso) (simile a quello del grano), sali minerali e fibra grezza.

È inoltre ricco di vitamine A e del gruppo B, specialmente niacina, B6 e acido folico, calcio, ferro, potassio, magnesio e zinco. Il miglio non contiene glutine, per cui la predisposizione alla panificazione è minore rispetto alle farine di orzo, frumento e segale. Quando viene combinato con il grano (o la gomma arabica nel caso di prodotti per celiaci), può essere utilizzato per produrre pane lievitato. Da solo, può venire utilizzato per “schiacce” non lievitate.

Poiché nessuno dei tipi di miglio è strettamente imparentato con il grano, è un alimento indicato per i celiaci o per chi soffre di altre forme di allergie o intolleranze al glutine o al grano. Il suo considerevole contenuto in lecitina e colina lo rende particolarmente adatto alle persone sedentarie, chi è dedito a lavori intellettuali e ai convalescenti, nonché alle donne in gravidanza.

Essendo ricco di lipidi, lo stoccaggio sotto forma di fiocchi o farina è limitato nel tempo, mentre si conserva a lungo in chicco. È quindi consigliabile macinare i chicchi al momento dell’uso.

E allora perchè non riscoprire questo cereale, quasi dimenticato o utilizzato solo come alimento per animali (canarini). Avevo in casa una confezione di farina di miglio e, in un libro, ho trovato questa ricetta, semplice, veloce.

INGREDIENTI:

  • 400 gr di farina di miglio
  • 200 (170) gr di zucchero, anche di canna o miele
  • 100 gr di pinoli
  • 4 albumi
  • un poco di acqua

Incorporare lo zucchero alla farina, lavorarla un poco per mescolarla ed aggiungere i pinoli. Montare a neve gli albumi e, mescolando delicatamente dall’alto verso il basso, unirli all’impasto. Aggiungere l’acqua per amalgamare meglio l’impasto,disporre sulla teglia da forno l’impasto a cucchiaiate, io li ho decorati con le scorzette di arancia candite, preparate da me questo inverno e poi cuocere in forno preriscaldato a 180° per circa 15 min.

002

004

Ed ecco i dolcetti pronti, sembrano un po’ dei brutti ma buoni, ed in effetti così sono.